Twin Peaks 2017

Twin Peaks 2017

++++++

Non sono parte di quelli che si erigono a conoscitori di cinema impegnato, ma nella vita ho avuto la grande fortuna di conoscere persone che mi hanno consigliato visioni che definivano "adatte" a me.
Fra queste visioni, insieme a una sfilza di film orientali, c'era anche “Twin Peaks”.
All'epoca dell'uscita ero troppo piccola per essere vittima del tormentone "Chi ha ucciso Laura Palmer?" e ancora troppo piccola per bramare di guardarlo, magari di nascosto perché inadatto alla mia età. Quindi non mi piace definirmi grande cultrice di qualcosa che, ahimè, ho visto tardi e non ho potuto assaporare nel momento giusto.
Posso però asserire che chi me l'ha consigliato era sicuramente qualcuno che di me aveva capito tante cose (sì, tu che sai di essere chiamata in causa fai pure come Pippo Baudo e grida "L'HO INVENTATA IOOO" dal fondo della sala. Ti è concesso.)
Di Twin Peaks, e in generale di Lynch, ho sempre amato la stramberia e il coraggio di fottersene dei generi e delle regole imposte dalla gigantesca macchina del cinema (negli anni '90) e delle serie tv (oggi) che dicono a chiare lettere "se non piaci a tutti, o a una buona e ampia maggioranza, non sei niente e nessuno".
Negli anni ‘90 diciamo che Lynch si è un po' dovuto contenere e a un certo punto ha dovuto dare al pubblico quello che voleva: una spiegazione logica a risoluzione del caso di omicidio.
La prima impressione che si ha approcciandosi alla serie è che Lynch è un folle e che non si capisce niente.


I gruppi di spettatori si possono riassumere in tre grandi categorie:

  1. non ci capisco niente, ma faccio finta di capire e dico "AH È UNA FIGATA", fondamentalmente per moda;

  2. non ci capisco niente, mi fa schifo, è lento e non ha senso;

  3. grazie David per averci insegnato come si traspone una tela astratta di incubi e sogni su schermo;

Siamo tutti inconsapevolmente partiti dal gruppo 1 perché è stabilito dalla nostra natura primordiale: il bisogno di avere sempre una spiegazione logica per non sentirci smarriti.
La forza di “Twin Peaks” è stata quella di portare sullo schermo una cosa mai vista prima. Un frullato di generi, un mix di fantascienza e paranormale conditi da stralci thriller e tanta ironia. Nonostante sia una grande fan di “Twin Peaks” e credo che abbia scritto un capitolo importante nel modo di fare serie tv, all'epoca, non sono fra quelli che generalizzano a prescindere: la seconda stagione non è bella, fatta eccezione per gli ultimi episodi che il buon David ha dovuto realizzare come contentino della massa.

 

È vero, ci sono parecchi difetti. A volte è lenta, a volte ci sono momenti riempitivi evitabili, a volte è trash, a volte sembra una soap opera.
Ma la cosa che credo sia importante cogliere - e che fa innamorare - è come “Twin Peaks” ci offra una finestra su un mondo che non conosciamo, e sto parlando proprio del mondo dentro la testa di David Lynch.
Il coraggio e la profonda onestà che il regista ha di parlarci dei suoi incubi più profondi e dei suoi sogni dandogli le sembianze di nani ballerini, spiriti che sbucano dai divani, gufi e giganti, è impressionante. Bob, lo spirito crudele che alberga dentro Leland, è diventato l'incubo di una intera generazione, vi sfido ad ammettere il contrario.
I personaggi sono tutti iconici, dalla Signora Ceppo a Sarah Palmer, da Shelly Johnson alla segretaria svampita Lucy, riescono a rappresentare quello che la cittadina di Twin Peaks rappresenta agli occhi del mondo che sta al di fuori dei suoi boschi: un perfetto insieme di "freaks", di strambi, completamente eterogenei aventi ognuno un ruolo preciso nell'insieme.

Con la visione dei primi episodi di questo tanto atteso ritorno ho capito esattamente di essere passata al gruppo 3 (cosa che già sapevo ma che si è consolidata).
Mi sono seduta in silenzio e ho seguito i ritmi di quella che, in un mondo dove nel 2017 l'impero è ormai detenuto da Netflix e “Game of Thrones”, è una grande ed ennesima prova di coraggio. Lynch infatti sa che non ci deve più niente, che ci ha già dato quello che volevamo rivelandoci a suo modo chi ha ucciso Laura Palmer. Dobbiamo solo arrenderci, sederci fra le tende di velluto della Loggia Nera e lasciarlo fare.

Ci piacerà o non ci piacerà, non è questo l'obiettivo finale. E non lo dico per sostenere la teoria che Lynch può fare tutto quello che vuole perché lui può e a lui perdoniamo tutto a prescindere.
Il punto è che Lynch ci sta facendo un altro regalo: ci sta lasciando di nuovo entrare da quella porticina, ci sta facendo di nuovo camminare sul pavimento nero e bianco psichedelico della sua mente e ci sta di nuovo mostrando la vastità del potere dei sogni. Ce lo aveva detto in sogno la stessa Laura Palmer 25 anni fa (anzi 27).
Cubi di vetro e stanze vuote, atmosfere cupe, cadaveri e alberi parlanti. Bisogna semplicemente smetterla di cercare a tutti i costi di sforzarsi di capire. Bisogna aprire la mente, sedersi sul divano come il guardiano della gabbia di vetro e iniziare il viaggio.

E allora apri la mente, Diane, perché niente ha un unico senso e ricordati che quello che per me ha un senso per te magari non ce l'ha. 

© Giulia Cristofori

Privacy Policy