Le luminose ombre | Racconti Indigeribili

Le luminose ombre | Racconti Indigeribili

Scritto da Antonello Sellini
Illustrato da Erika Sellini


Le luminose ombre

TIC-TAC
Quella mattina ero seduto in cucina, neanche troppo dritto sulla sedia, ora che ci penso. Fissavo il tavolo con le braccia conserte: mi ero focalizzato su un alone presente sul legno; faceva il suo dovere, una macchia che spezzava l’omogeneità di colore. Qualcuno, per mettere a nuovo il tavolo, avrebbe passato dell’impregnante. A me, invece, era sempre piaciuto così; lo rendeva il nostro, il mio… tavolo. Quell’alone mi somigliava, stonava con tutto il resto. Stavano venendo a darmi una sistemata, una passata di impregnante.  
TIC-TAC
L’unico suono che riuscivo a percepire era il ticchettio ipnotico del pendolo.
Rimasi immobile, mentre nei miei pensieri si figurava un baule. Al suo interno giacevano, sopiti, una marea di ricordi ed emozioni; aprirlo avrebbe significato esserne travolto.
Il cigolio delle sue cerniere fece da sigla al mio trauma.
«Cao, resta sveglio, ce la farai, ora ti cureranno», continuavo a ripetere a mio padre mentre gli stringevo la mano, e la barella, spinta dai medici, sfrecciava in corsia.
BIP, DIVIETO
Giunti all’entrata della sala operatoria, ai sensori non risultava attiva la sua maschera.
«È guasta o scaduta, in questi casi…», sapevo già cosa stessero per chiedermi e mi sentii mancare «…un parente può garantire l’accesso; avvicini il suo volto ai sensori».
Lo feci, pur sapendo l’esito, sperando in un errore.
BIP, divieto
«Ho… ho dimenticato di rinnovarla, è scaduta stamattina, lo… lo faccio ora, ma vi prego, aiutatelo».
«Non possiamo senza accesso, si sbrighi!».
Toccai, all’altezza della tempia, con mani tremanti e sudate, i tasti per accedere al portale di rinnovo. Sui vitrei mi apparvero un’infinità di finestre, pubblicità, scritte e link inutili. Cao stava morendo, mentre io cercavo uno stupido riquadro per il login.
PASSWORD ERRATA
Dannazione.
PASSWORD ERRATA
«Si sbrighi!».    
Digitai su -password dimenticata?-.
«Il battito è basso».
«Lum1no$eombr3».
«Cosa ha fatto? Si sbrighi!».
DRIN
Il campanello sfumò i miei ricordi.     
Dallo spioncino intravidi due donne, con delle cartelline fra le braccia conserte. Potevo immaginare, sotto le loro maschere, i volti dai falsi sorrisi; espressioni di chi prova pena per te, e, convinto di essere nel giusto, armato di tracotante arroganza e superbia, deve a tutti i costi "aiutarti a capire” che la tua visione è sbagliata, la sua è quella giusta.          
Aprii la porta, si avvicinò la donna più adulta.
«Salve, signor Vri. Ente per la sistemazione: siamo qui per il suo primo colloquio conoscitivo come avvio al processo di riabilitazione. Possiamo entrare?».
«O-ok, ma non c’era un tasto di conferma sul portale, non ho accettato niente».      
Entrarono guardando la casa, sospettose e a disagio.
«Signor Vri, qui c’è troppo disordine e poca luce, apra le finestre, si disfi di questi vestiti, si usavano anni fa! E di queste cianfrusaglie e foto piene di ricordi; l’ordine mentale inizia dalla percezione di ciò che ha attorno».
Le feci accomodare in cucina, mentre riordinavo alla rinfusa. Poi, per far sì che se ne andassero quanto prima, le accontentai aprendo anche le finestre. La luce mi abbagliò, la brezza mi investì, ma non sentii la sua carezza sul volto; sentii, invece, quella della mia mano, scivolare appena sulla maschera, premere finanche, alla disperata ricerca della mia pelle, dei miei sensi, di me stesso.
Mi sedetti con loro.    
«Allora, ha degli obiettivi?» mi chiese la consulente.   
Non volli, né seppi cosa risponderle. 
«Se non li riconosce, è perché l’ordine è necessario per individuarli».
Rimasi in silenzio, sapevo come sarebbe andata a finire.        
«Innanzitutto si cerchi un lavoro, faccia della formazione. Ha qualcuno che le stia accanto? Un  partner, degli amici?».      
«I soldi che ha ereditato finiranno! Le serve un’entrata fissa».
Le lacrime scivolarono sotto la maschera.      
«Quello in foto era suo padre adottivo?».
La domanda ruppe il mio silenzio e, con voce spezzata, intimai: «Ora andate!».
«Sta piangendo?».       
Mentre le accompagnavo fuori, dissi ironicamente: «ho da fare, devo aggiustare tutto ciò che ha detto, Se volete scusarmi».
«Ha bisogno di una terapia, non può piangersi addosso, è grande ormai», continuò a cianciare la consulente, mentre mi impediva di chiudere la porta.
«Ho solo bisogno di esprimere le mie emozioni! andate via, grazie».
SBAM
«La farò chiamare da un terapista per la riabilitazione emotiva, vogliamo aiutarla, non deve allontanarci, deve riprendersi il suo futuro!».
Sparai la musica a tutto volume per non sentire il suo blaterare.        
DRIN
Dopo un paio d’ore suonarono di nuovo al campanello. Era l’altra consulente, quella taciturna.
«Ancora? Lasciatemi in pace!».
Stavo per chiudere la porta quando disse: «No, aspetta! Sono sola, voglio sapere perché vuoi provare emozioni, è… sconveniente». 

Ne parlammo per un mese, ogni giorno, io e Tri. Lei disse all’ente per la sistemazione di avermi preso in carico, per coprirmi. Io in cambio le avevo promesso le stelle.
«Tu non eri nata. Trent’anni fa si potevano vedere ancora le stelle, ora, con l’eccessiva luce della città e di queste maschere, non più. Così come non possiamo vedere noi stessi e il nostro animo se siamo troppo illuminati, se non accogliamo il nostro buio. Tutto è troppo perfetto, non puoi sbagliare, tutti devono essere belli, educati e falsamente cortesi nella gara per il successo. Privi di emozioni negative, senza il nostro buio non possiamo vedere le stelle. Ecco perché voglio provare emozioni, per rivederle, capisci?».
«Perché non riprendi gli studi? Non sei troppo grande, sei intelligente, non ti manca niente, i tuoi obiettivi sono importanti».        
«Cavolo, non si tratta di questo».        
«Ti aiuterebbe, attesterebbe ciò che sei».        
«Io non sono un pezzo di carta, sono le mie emozioni».       
«Non hai paura di fallire?».     
«Sì, di perdere le mie emozioni, le mie decisioni, il mio essere imperfetto! Possibile che risulti io quello strano, scioccamente coraggioso ed ingenuo? Dovrebbe venir naturale essere sé stessi! Tu mi dirai, ma il pane come lo porti a casa?! Hai ragione, ma senza sogni cosa siamo? Macchine! In grado di mantenersi utili e attive fino al loro esaurimento.       
Guardaci, con queste maschere! Ci rendono tutti uguali; certo! Per l’efficienza, la parità, niente discriminazioni o pregiudizi. Io voglio sapere come sei!». 
«Non è importante».  
«Che espressione fai quando mi parli, ti diverti o quando sei imbronciata, concentrata? Voglio saperti, non solo immaginarti».      
«Senti, io amo i tuoi pensieri, ma quel che dici si può solo sognare, non è praticabile».
«Stasera. Vieni alla centrale elettrica del quartiere e vedrai».
«Io…».
«Ti aspetto».
Venne. Il mio piano era pronto da tempo; fu semplice, bastò scavalcare il cancello, salire fino al terrazzo e tirare la leva. ZUM, e fu blackout nel quartiere.        
Non c’era sicurezza alla centrale, poiché nessuno si sarebbe sognato di privarsi delle comodità.
Con le luci si spensero anche le maschere, collegate alla rete. I suoni di guasto erano così cadenzati e forti che fu necessario toglierle. Scoprimmo i nostri volti.   
«Tri, guarda, siamo tutti meravigliosi ora che mostriamo noi stessi, che finalmente respiriamo, ci risvegliamo e apriamo gli occhi nel buio. Alza la testa verso le stelle, Sono quei puntini luminosi nel cielo; così, i sogni brillano negli animi, splendono nel buio». 
Ci abbracciammo; due anime perse in cerca di speranze, che sorridono per il sentore di un futuro, sì incerto, ma ora incantevolmente sfumato, grazie alla scoperta delle ombre. 
Arrivò la milizia, usai Tri come ostaggio, le sussurrai all’orecchio: «Incolpa me quando ti interrogheranno». Le sue lacrime, prima di gioia, scesero ora tristi. Le une e le altre non diverse, necessariamente univoche, perfette nel loro equilibrio.
Il giorno dopo, dalla prigione sentii le urla di protesta della gente.
«RIDATECI LE STELLE! RIDATECI IL BUIO!».
Ci ero riuscito, le persone si erano risvegliate. Marciavano come luminose ombre.



© Racconto di Antonello Sellini | Illustrazione di Erika Sellini | Editing di Paolo Perlini


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