UNO | Racconti Indigeribili

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Scritto da Pasquale Sbrizzi
Illustrato da Dario Licata


UNO

Michela poggiava l’avambraccio filiforme alle mattonelle ingiallite della cucina infestata dagli scarafaggi e dai moscerini, un nauseabondo tugurio caotico di stovigliume ammuffito ed escrementi di topo. Faccia al muro, ridotta a uno scheletro vivente da un prosciugante malanno senza diagnosi, la donna pativa un dolore addominale lancinante, un supplizio infernale che pareva ingarbugliarle milza, fegato e intestini in un nodo gordiano di organi: il suo ventre, mostruosamente rigonfio, appariva come un grottesco pallone aerostatico segnato da una trama intricata di sottili vasi sanguigni e smagliature simili a piaghe. Muggiva come una vacca disperata sulla strada per il mattatoio: rivoli di sudore oleoso e fetido colavano dal cranio martoriato dall’alopecia, l’ossuto torace traslucido, scoperto dal reggiseno prima taglia, sobbalzava a ogni contrazione dei muscoli dell’ano. I denti guasti, svelati dalla smorfia sardonica di fatica, si sarebbero potuti sbriciolare da un momento all’altro nella morsa serrata delle fauci incancrenite.
Tuttavia, sebbene straziata dalla più atroce delle agonie, Michela non mostrava alcun segno di cedimento. Sembrava proprio non volersi svuotare, non voler abbandonare quella quantità pachidermica di scarti fecali, cagione di una sofferenza così terribile, alle acque turbinose e salvifiche dello sciacquone del gabinetto.
Custodiva qualcosa di immenso valore nelle sue viscere, un prezioso bottino di nibelungica memoria da cui non intendeva separarsi.
Quella sera a cena, mentre masticava l’ultimo boccone di una gigantesca tartare di tritato umano, era giunta alla formulazione di un orripilante assioma, a una conclusione terrificante che, fino a quell’istante, il suo cervello aveva preferito nascondere nelle tenebre del subconscio.
La separazione definitiva dal suo ex-fidanzato, Giovanni, la angosciava.
Anzi, la devastava.
Il congelatore era ormai vuoto.
L’apparato escretore della cannibale, gravato da quell’estremo pasto antropofago, si sforzava di espellere i tessuti digeriti del suo grande amore, ma lei non l’avrebbe mai permesso: avrebbe resistito fino alla morte, a costo di farsi saltare in aria il colon e tingere di bruno escrementizio le pareti lerce della sua cucina.
Erano una cosa sola adesso, lei e Giovanni.
Niente più gelosia, niente più litigi.
Finalmente, sì, erano uno.
Michela e Giovanni.
Giovanni e Michela.
Per sempre uniti.


© Racconto di Pasquale Sbrizzi | Illustrazione di Dario Licata | Editing di Chiara Bianchi


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