Due chiacchiere con Sabrina Bottari

Due chiacchiere con Sabrina Bottari

Dai racconti più amati a quelli più ostici da tradurre; cosa significa essere traduttrice e molte altre curiosità.
CrunchEd ospita Sabrina Bottari intervistata da Chiara Bianchi.

1. Il genere Weird Tales del periodo Vittoriano è un immenso patrimonio ancora tutto da riscoprire. Immagino che la scelta dei racconti da far rientrare in queste due antologie non sia stata semplice. Come è iniziata la tua ricerca e come sei arrivata alla scelta?

Dunque, entrambi i volumi sono stati pubblicati originariamente per la Blackie in Spagna, dove si trova la sede principale della casa editrice, quindi la selezione l’hanno fatta loro. A me è stata quindi consegnata la copia in spagnolo. Il mio lavoro è stato di: 

  1. controllare quali racconti avessero già una traduzione ufficiale italiana e reperirla, 2. per i racconti che non erano mai stati tradotti in italiano cercare l’originale inglese da cui tradurli e 
  2. per i racconti che non si trovavano né in italiano né in inglese, selezionarne altri che li sostituissero.

Per trovare gli originali e selezionare altri racconti mi sono appoggiata molto a siti online davvero utili, che ho trovato dopo un bel po’ di ricerche perché sono siti vecchi e non più aggiornati, tra cui preziosissimo è stato “Il Meglio di Weird Tales”, una rubrica su fantascienza.com che raccoglie il meglio, appunto, di Weird Tales, completo di autori e indici di ogni numero della rivista.

Weird Tales è una rivista fondata nel 1922 negli Stati Uniti da J.C. Hennenberger, che raccoglieva racconti del mistero di diversi autori e autrici, e dalla quale sono anche stati tratti numerosi racconti contenuti nelle due antologie di Blackie. Quindi ho letto un po’ di racconti da lì o anche da libri/raccolte che avevo in casa (cercando, se possibile, di cercarne altri delle stesse autrici dell’antologia) e ho selezionato quelli che mi sembravano più interessanti e meno scontati sia come trama che come stile di scrittura

2. Tra i racconti de Regine del brivido, qual è quello che ti ha divertita di più tradurre e quello più ostico? E perché?

I più divertenti da tradurre sono stati sicuramente quelli della Hodgson Burnett (Un Natale nella Nebbia – d’altra parte c’è un motivo se è così famosa, è scritto benissimo), I Tre Penny Contrassegnati della Counselman (per la trama interessante e la suspense di non sapere come andrà a finire) e A lume di candela di Lady Eleanor Smith perché fa veramente ridere ed è sempre divertente tradurre racconti tragicomici.

Il più ostico invece forse è stato L’Isola delle Mani della St. Clair perché è un racconto abbastanza onirico e, come sempre in questi casi (non ti dico, per esempio, cos’è tradurre autori della corrente del Realismo Magico sudamericano) una si chiede sempre mille volte se l’autore avesse davvero voluto dire quello o se è una metafora o un modo di dire, perché è tutto molto astratto e bisogna scegliere le parole con molta attenzione.

3. E in Dark Ladies?

Per Dark Ladies il lavoro è stato in generale leggermente più complicato perché molti dei racconti erano stati scritti molto prima di quelli di Regine del Brivido; quindi, avevo a che fare con un inglese ottocentesco, che io ho scelto di tradurre lasciando, per quanto possibile, un linguaggio in italiano che corrispondesse allo stile dell’epoca. Questo è facile se il traduttore è un contemporaneo dell’autore, un po’ più difficile se devi riprodurre un linguaggio in uso quasi duecento anni fa senza che risulti affettato, ridicolo o poco credibile. Mi ricordo però che il racconto che mi aveva appassionato di più è quello Willa Cather, Il Caso di Grover Station. Io sono una grande fan, sia nei film che nei libri, dell’ “ultima scena” o dell’ “ultima riga”, perché in alcuni casi, come si dice in inglese, it can make or break un film o, appunto, un libro. L’ultima frase del racconto della Cather (i polpastrelli sporchi di gessetto azzurro) per me è innanzitutto poetica e memorabile, ma anche perfetta perché racchiude in sé la soluzione di tutto il mistero del racconto. Ecco, queste per me sono piccole gioie della traduzione (e anche della lettura, ovviamente).

4. Cosa significa per te il mestiere di traduttore? E se ti va, raccontaci la tua esperienza. 

Allora, premesso che potremmo parlarne per ore, in breve ti dico che secondo me il lavoro di traduttore è un lavoro fondamentale che però purtroppo spesso (come succede in tutte le professioni) non è svolto in maniera proprio ineccepibile, per usare un eufemismo. Io in generale nella vita detesto la noncuranza, quindi per me il lavoro di traduttrice significa in primo luogo cercare di rappresentare e trasmettere al meglio il pensiero dell’autore originale. Il mio professore di latino e greco diceva sempre che “la traduzione è come la moglie, o è brutta e fedele, o è bella e infedele”. A parte la battuta, in realtà è un concetto che non trovo sbagliato. Io propendo in generale per la seconda opzione, ma ciò non toglie che bisogna stare attenti a non sviare troppo dal contenuto originale. A volte ho letto libri che sembravano completamente riscritti, con traduttori che si erano presi libertà decisamente eccessive rispetto al testo originale. Non si deve neanche, però, cadere nell’errore opposto, ossia non cambiare niente anche se concetti, modi di dire, e soprattutto riferimenti culturali non verranno colti dal pubblico nella lingua di destinazione. Io in quei casi, se ai fini della trama non è fondamentale lasciare questi elementi come sono in lingua originale, li cambio, oppure al massimo metto una nota di spiegazione (per esempio che cos’è Walmart, chi è El Chavo del Ocho, cos’è successo in una data specifica che viene citata, dov’è Anchorage e così via). L’importante per me, come dicevo, è essere accurati sempre e comunque. Se una frase non ti torna, vai a cercarla, potrebbe essere un modo di dire che non conosci o un termine di slang locale o dialettale. Invece spesso si vedono traduzioni un po’, come dire, “buttate lì” senza che ci sia una vera ricerca dietro. Recentemente ho visto un fantastico “ha adottato un cane dello Yorkshire” per indicare un cagnolino di razza yorkshire, oppure uno sconcertante “Low men in yellow coats”(Stephen King) tradotto come “Uomini bassi in soprabito giallo” (quando chiaramente con “low men” si intende “uomini di bassa lega, malviventi”). Volevo piangere. Ma di esempi così ce ne sono a centinaia, come ben saprai! 

Per concludere, vorrei spendere due parole sui traduttori automatici (Google translate, Chat GPT ecc.), che sono una “piaga” che ha causato non pochi danni, sia economici che di contenuto, alle traduzioni letterarie. Siccome, infatti, molta gente che ha bisogno di una traduzione veloce e neanche troppo ben fatta si affida ormai a questi servizi gratuiti (che devo ammettere in molti casi fanno un lavoro più che decente), i parecchi traduttori che prima facevano questo tipo di traduzioni ora si propongono per altri tipi di traduzioni un po’ più complicate facendo dei prezzi veramente stracciati che rovinano il mercato a tutti gli altri. Mercato che di per sé è già iper-saturo perché i traduttori non vanno in pensione (quindi non c’è ricambio generazionale), i posti sono pochi e gelosamente custoditi, è un mondo in cui (come in tanti altri casi in Italia, purtroppo) le conoscenze contano parecchio e inoltre, appunto, con l’aiuto della tecnologia ormai molte persone nell’ambito editoriale (redattori, editori, correttori di bozze, stagisti e così via) possono realizzare traduzioni di livello più che discreto a costo zero per la casa editrice. 

È comunque un lavoro che io amo e non cambierei mai, perché ti permette di scoprire e imparare cose su moltissimi argomenti diversi, venire a contatto con culture, mentalità e stili di vita completamente diversi dal tuo, insomma, sembra una banalità ma davvero allena la mente a pensare fuori dagli schemi. 

5. Domande lampo: 

  • Stephen King o H.P. Lovecraft? 

Ah, questa è difficile! Mi piacciono entrambi. Forse sono più affezionata a Stephen King perché sono cresciuta con i suoi libri (e i film tratti dai suoi libri) ma Stephen King non sarebbe mai esistito senza Lovecraft, che è stato un vero pioniere del genere horror chiamiamolo “psicologico” e ha infuso il genere con elementi anche filosofici come non era mai successo prima.

  • Ann Radcliffe o Clara Reeve? 

Qui rispondo più in base alla personalità dell’autrice che alla loro produzione letteraria, perché devo confessare che della Reeve non ho letto molto a parte The Old English Baron. In ogni caso avrei comunque risposto la Radcliffe perché era una vera ribelle per l’epoca (soprattutto per le sue critiche alla chiesa cattolica, davvero all’avanguardia, e le sue vedute particolarmente di sinistra) e il suo libro The Mysteries of Udolpho è davvero originale e interessante. 

6. Lasciati ispirare da queste parole. A cosa ti fanno pensare?

Fantasma: guarda, come prima cosa mi viene in mente la cugina di mia nonna (e di conseguenza anche mia nonna, che le credeva ciecamente) che ne vedeva ovunque. Principalmente si trattava di parenti morti. La famiglia di mia madre (una famiglia composta quasi unicamente da donne) credeva molto nel soprannaturale, quindi è un concetto con cui sono cresciuta e che non ho mai trovato assurdo. C’era l’usanza di “chiedere ai morti/ai fantasmi” di aiutarci in diverse situazioni della vita, dalle più nobili (guarire da qualche sofferenza) alle più triviali (ritrovare il calzino spaiato — anche se quelli, lo sanno tutti, se li mangia la lavatrice). Mio padre, un ingegnere, chiaramente trovava tutto molto ridicolo, ma io ho sempre pensato che non c’è niente di male a credere a queste cose, aggiungono solo un po’ di magia alla vita!

Gotico: uno stile oltre che architettonico anche di vita, che ha prodotto un suo immaginario ben preciso e riconoscibile (colori scuri, atmosfera lugubre, personaggi teatrali, abiti impeccabili e austeri, giardini decadenti...), che ha influenzato e ancora influenza la letteratura e la filmografia (si pensi per esempio a Tim Burton, a Harry Potter e al suo spin-off Fantastic Beasts, o alla saga di Lemony Snicket, o di tutto ciò che appartiene al genere ora etichettato come “Dark Academia”.)

Lady: una signora della “buona società” che però si diletta con piaceri meno, per così dire, “adatti” al suo status, come il soprannaturale, le sedute spiritiche, i veggenti e così via. È anche grazie a loro che il genere “weird tales” ha avuto così tanto successo!

Brivido: ecco, qui mi vengono in mente: 1. quegli orridi tunnel dei luna park coi robot arrugginiti dei mostri che cadevano a pezzi, le urla agghiaccianti di sottofondo, quei colori anni ’80 tipo il verde mela e il fucsia e il carrettino che ti portava in giro che andava a scatti sulle rotaie minacciando di bloccarsi al buio pesto ogni due metri, il che forse era la cosa più “da brivido” di tutta l’esperienza. 2. La collana di libri + serie TV “Piccoli Brividi” (Goosebumps) che guardavo da ragazzina in America.  3. Alfred Hitchcock “il maestro del brivido”, uno dei miei registi preferiti, del quale conosco la filmografia a memoria ma che non mi ha mai fatto venire un singolo brivido. 

Regina Vittoria: ah, che idolo. È una donna che ho sempre ammirato moltissimo per la sua forza e per la sua indipendenza. Ha avuto nove figli che si è sempre rifiutata di allattare sostenendo di non essere una mucca, ed è stata tra le prime a usare anestetici per il parto, fregandosene della religione cristiana che vuole che le donne “partoriscano con dolore”. Ha saputo governare un Paese come il Regno Unito per più di 60 anni facendolo diventare una delle più grandi potenze dell’epoca (certo, non dimentichiamo che era anche una fervente imperialista) e la sua vita è pazzesca. Dopo aver subìto un attentato, il giorno dopo ha voluto rifare la stessa strada per vedere se provavano a ucciderla ancora, e così facendo è riuscita a far arrestare l’attentatore. Ah, e quando è successo era anche incinta. Poi io la reputo un po’ la donna che ha inventato lo steampunk, perché è il suo governo che ha visto il boom della Rivoluzione Industriale, e ovviamente è sempre lei anche l’incontrastata regina del gotico, oltre che dal punto di vista letterario (il genere fiorì durante il suo governo) anche da quello stilistico (dopo la morte del marito, nel 1861, vestì solo e unicamente di nero per i rimanenti 40 anni della sua vita, che eleganza). 


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