I Hate My Village

I Hate My Village

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I Hate My Village: un album libero dalle paranoie del mercato, e dalle esigenze discografiche. Un album, semplicemente, bello

I cosiddetti “supergruppi” mi hanno sempre incuriosito, ma spesso deluso, perché certe line-up creano aspettative che a volte vengono disattese.

I hate my village, progetto che coinvolge Adriano Viterbini (Bud Spencer Blues Explosion), Fabio Rondanini (Calibro35), Luca Ferrari (Verdena) e Marco Fasolo (Jennifer Gentle, e produttore dell’omonimo album), incuriosisce data la qualità dei suoi componenti, ma sicuramente non delude le aspettative.

© ph. Ilaria Magliocchetti Lombi

Questo primo, e speriamo non ultimo, lavoro è un insieme di esperienze e atmosfere, che ognuno dei membri ha portato in dote, creando un suono, non particolare in quanto innovativo, ma decisamente interessante per la matrice che da il là a tutto l’album: l’Africa ed i suoi suoni, le sue ritmiche, che incontrano (o forse è meglio dire si scontrano) atmosfere noise e richiami blues.

Stiamo parlando di un album non facile, il primo approccio è quasi traumatico, ma ben suonato e decisamente accattivante per chi non si ferma ad un primo ascolto. Se consideriamo la composizione, così eterogenea, della band, l’album si sviluppa in sorprendente equilibrio; anche quando i brani, nonostante la loro breve durata, sembrano delle vere e proprie suite, non si perde mai il filo conduttore che caratterizza il disco.

Anche dal vivo I Hate My Village non deludono, anzi. L’energia ipnotica dell’album resta immutata, nonostante qualche ovvia sporca tura e un set davvero minimale, anche se, fatemelo dire, è davvero bello vedere un musicista che sfila il jack e cambia chitarra senza tanti fronzoli, quasi primordiale oserei dire.

Abbiamo assistito al loro live al Teatro Alfieri di Montemarciano (AN), in occasione del Klang Festival, e l’impatto e stato davvero notevole. Poche luci, scenografie inesistenti, poche chiacchiere con il pubblico, solo tanta, ottima, musica.

In certi momenti sembrava di assistere ad una jam session, ma un orecchio attento capiva subito che di improvvisato non c’era davvero nulla. Certo la cornice teatrale ha fatto perdere qualcosa al concerto, a livello di impatto, ma sicuramente ha obbligato gli spettatori a mantenere un livello di attenzione maggiore, rispetto ad un semplice locale, contribuendo a creare una bellissima atmosfera.

Brani migliori: Tony Hawk of Ghana, Fame

© Luca Cameli

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