Bohemian Rhapsody | Il film

Bohemian Rhapsody | Il film

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Freddie Mercury è uno di quegli argomenti tabù di cui non tutti dovremmo parlare, specialmente senza cognizione di causa.
Ma Freddie Mercury è un po’ come la quinta delle stagioni, fra l’inverno e la primavera c’è Freddie Mercury. Fra il caldo e il freddo, fra l’inferno e il paradiso, fra il sacro e il profano. È una legge, una religione, un mito.

Freddie Mercury è una leggenda.
Tutti, e dico proprio tutti, abbiamo cantato almeno una volta nella vita una delle canzoni dei Queen fosse solo in fase di pulizie coatte di casa utilizzando la scopa come microfono.
Ma, come ogni leggenda, la sua storia si distorce di bocca in bocca fino a che ad un certo punto esistono mille storie tutte uguali e diverse.
Questo per dire che fare un film su Freddie Mercury è un’impresa coraggiosa e sfacciatissima. Ogni biopic lo è, ma Freddie Mercury è uno di quegli intoccabili che quando lo vai a sfiorare già sai che solleverai un polverone.

Su “Bohemian Rhapsody” in questi giorni credo di aver letto di tutto.
Dai saccenti che “Eh ma è impossibile avere il carisma di Freddie Mercury, ne è nato uno solo!!!1!” a quelli che si soffermano solo sulle imprecisioni storiche.
Poi ci sono io, io che ho iniziato a piangere a 30 minuti dalla fine.


Non sono una fan sfegatata, non so nemmeno quali siano le imprecisioni storiche. Ascolto i Queen, mi piacciono tantissimo e anche io penso che di Freddie Mercury ce n’è solo uno e non ce ne sarà mai un altro.
Ma la quantità di emozioni che riesce a smuovere questo film è impressionante.
Io sfido chiunque a non commuoversi nella parte del Live AID. E sì, di Freddie Mercury ce n’è uno solo, ma Rami Malek si merita un oscar grande come una casa per essere riuscito a riportare in vita per un paio d’ore una leggenda che se n’è andata troppo presto.
La precisione quasi maniacale dei movimenti e delle espressioni di Malek, e di tutti i componenti della band, è pazzesca.
È vero, la trama ha dei difetti: inizia tutto troppo frettolosamente, mancano delle contestualizzazioni importanti, ci sono imprecisioni sui pezzi scelti in relazione agli anni che stiamo vedendo e la rivelazione della malattia è stata anticipata per motivi strettamente di trama.


Un po’ debole la prima parte forse, ma dalla seconda metà in poi che bomba. Vediamo bene l’evoluzione di Freddie Mercury, la sua immensa solitudine mascherata dalla sua frenetica vita sociale sfrenata, il consumo che la fama ha sull’uomo, la redenzione.
E sapete qual è stata la cosa più bella? La gente in sala. Tutti abbiamo cantato in lacrime durante la parte finale del Live AID e alla fine ci siamo alzati in piedi e abbiamo applaudito di cuore e con un sorriso, nonostante le lacrime.
Quel cuore che magari abbiamo rattoppato ascoltando “Love of my life” o quel sorriso che abbiamo sfoggiato ballando “I want to break free” sotto la pioggia.
C’è stata un’esplosione di vita talmente forte in quell’ultima mezz’ora che ha eguagliato quel boato di mani e piedi che battono all’unisono quando parte “We will rock you”.


Sono uscita dalla sala grata a quest’uomo e con la sensazione di conoscerlo un po’ meglio.
Alla fine dei conti era un emarginato che ha regalato la speranza agli emarginati come lui.
Un uomo che amava la musica e che ha dato un contributo enorme alla musica. Ci ha insegnato ad amarla attraverso la sua passione e il suo incredibile carisma.

Per me è un grande grandissimo sì, già non vedo l’ora di rivederlo.
Tra l’altro fotografia bellissima.

© Giulia Cristofori

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