Arcipelago | Racconti Indigeribili

Arcipelago | Racconti Indigeribili

Scritto da Gabriele Nucatola
Illustrato da Mari Madeo


Arcipelago 

Il fumo le esce dalle narici larghe, e fluttua, compie qualche piroetta scomposta e svanisce, disatomizzato.
Mi passa quel che resta della cicca rovinata, il filtrino macchiato di saliva mi si sfalda tra le dita. Le mani sudano acido, me le passo sui pantaloni sgualciti cercando di asciugarle.
Mi irrita che lei non si accorga di nulla. È imperturbabile, continua a parlare di quello che pensa su questo e quest’altro, di domani e dopodomani, come se nulla fosse.
Cerco di mascherare la preoccupazione ma i piedi mi si stanno bagnando. Li ritiro su, sul letto dove siamo seduti, e invito anche lei a imitarmi. Tutt’e due sulle lenzuola bianco sporco, coricati l’uno accanto all’altra. Sento lo scrosciare dell’acqua tutt’attorno, straborda piano dalla porta, filtra dai muri, lacrima dal tetto.
Una goccia le piomba sul viso e le scivola addosso lasciando dietro di sé un piccolo torrente che fa da ponte tra la fronte alta e il naso, da cui si lascia cadere. La fisso con insistenza e quasi mi rassicuro perché adesso se ne dovrà accorgere, penso. Eppure, nulla, s’ostina ancora a correre come una logorroica. Vorrei parlare ma ho la gola serrata, infiammata. L’ugola attorcigliata su se stessa, senza speranza, mi ripeto.
L’acqua ormai avrà superato il mezzo metro. Inizia a invadere il materasso spugnoso, che assorbe tutto e ingrassa. Le assi del letto cominciano a cedere da un lato. Le prendo la mano e ci rannicchiamo a ridosso della testiera.
Fisso il tetto e posso contare una ad una le macchie giallastre piantate dall’acqua. Continua a parlare, a discorrere su quanto sarebbe bello se domani andassimo al mare ad abbronzarci circondati da famiglie grasse e gonfie di bambini.
«Domani andiamo al mare?».
«Domani? Domani andiamo al mare».
La stanza ormai è completamente allagata. Pochi atolli di terraferma formano un arcipelago, e noi naufraghi sotto un acquazzone tropicale, senza bottiglie con cui mandare messaggi.
I vestiti pregni d’acqua si fanno pesanti, le nostre magliette sono sudicie. Lei intanto è impegnata in un comizio solitario, un monologo, davanti a una tribuna senza spalti. Le sue mani rincorrono le parole, le scortano in tutta sicurezza con gesti rapidi.
Le dita iniziano a raggrinzirsi. Adesso glielo dico, mi faccio forza e le dico tutto.
Precisissime sequenze articolatorie buttano via mezzo grammo d’aria dai polmoni, trachea laringe faringe labbra: «La stanza sta affondando! Non vedi?», le urlo finalmente.
Si ferma.
Adesso un silenzio acquatico mi fa fischiare le orecchie, come in una camera iperbarica. Si guarda intorno, cauta, sempre tranquilla. Io tremo, l’adrenalina mi fa ingrossare le vene.
«E che vuoi farci?», e si mette a ridere. «Andiamo a farci una nuotata là, il primo che tocca l’armadio ha vinto».
Si tuffa e io con lei. 

 © illustrazione di Mari Madeo | Racconto di Gabriele Nucatola| Editing di Chiara Bianchi 


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