L'orco ha perso | Racconti Indigeribili

L'orco ha perso | Racconti Indigeribili

Scritto da Alessandra Baraldi
Illustrato da Giulia Imbrogli


L'orco ha perso

È giugno. Fa un caldo consolatorio. Ogni cosa risuona di estate. Il profumo delle lunghe giornate. I rintocchi dei martelli sull’acciaio a scandire il susseguirsi delle ore. La voglia di rimanere fuori fino a tarda notte. C’è però qualcosa di insolito nell’aria. Come un cane da caccia, salita in auto, continuo a fiutare con insistenza qualche traccia. Percorro la distanza che mi separa dall’ufficio scavando nei miei pensieri, ancora loro, compagni e nemici, vittime e carnefici. C’è luce ovunque. Si dovrebbe solo essere felici. Si dovrebbe solo amare ed essere amati. Ma le porte non smettono di sbattere. Le urla continuano a lacerare l’aria. Il solito ritornello come un mantra, che con tono crescente ripete alla follia le stesse domande senza senso senza risposta senza sostanza. Il tempo polverizza stralci di vita mentre mani come tenaglie spremono pezzi di corpo inerme. L’orco è una novità. Ti inonda di brividi di piacere quando ti sfiora. Ti tiene sveglia la notte. Ti ruba mazzi di pensieri.
Un giorno si presenta alla tua porta e chiede di amarti.
Il suo biglietto da visita non è mai il suo cuore. Ogni giorno è il tuo compleanno.
In un lampo ti rapisce. E tu sfiori il cielo. Ci cadi dentro, nel cielo.
La mattina ti accoglie con carezze e dolci pensieri.
Il pomeriggio ti conduce verso mete inimmaginabili.
La sera ti veste di luci e ti avvolge di note musicali maiuscole.
Tu alzi le mani arrendendoti all’amore.
Poi, in un attimo, lo specchio si frantuma.
Non sei caduta in cielo, ma in un profondo inferno: occhi lividi, lacrime versate. L’orco lascia la sua prima impronta.
Sono segni sul corpo. Orme nell’anima. Crepe nell’autostima.
Alle prime ombre della sera è già notte profondissima, nera, tormentata, gelida. C’è già collante ovunque. Il topo non ha via di scampo. C’è un legame a doppio filo. Lui è già molto più di qualcosa per te. E tu sei già troppo per lui. L’orco si presenta così.
L’orco ti scuote. L’orco ti straccia. L’orco ti rende minuscola.
Pulisce le sue scarpe sulla tua anima.
Tu sei sua.
Qualcosa si spegne dentro di te. Spensieratezza diventa una parola vuota senza corpo.
Perché non te ne sei andata al primo schiaffo?
Così, a ogni tramonto muori dentro mentre il corpo rimane bersaglio immobile.
L’orco non ha sesso. Si nutre di indifferenza. È figlio della vergogna. Il risultato della paura elevata alla massima potenza per N fattoriale. Può avere il volto grazioso e rassicurante di una sorella o di un’amica. Spesso è ciò che resta di un tenero amante.
L’orco teme la tua autostima. Per questo la calpesta. La svilisce. La offende. La percuote.
Non mi salverà neppure quel camion che sto incrociando e che potrebbe all’improvviso sbandare e far terminare l’orrore.
Quel che non si vuol vedere non esiste. Rivedo le mie foto strappate sul pavimento, il mio libretto universitario vilipeso e spezzato in due, la mia maglietta preferita sbriciolata in una manciata di brandelli. Ciocche di capelli inanimati. Urla. Botte. Grida. Lacrime. Rabbia. Smarrimento.
«È pronta la colazione…vieni?».
«Eccomi, dai da mangiare a Dante mentre mi vesto, poi lo porto giù io».
«Caffelatte o tè?».
«Caffelatte e biscotti, tanti biscotti stamattina».
Voglio provare a me stessa che insieme a lui e alle sue botte, anche il dolore è scomparso. 

Esco dall’ufficio. Salgo in auto. Lui mi segue. Si accosta al finestrino. La litania di ingiurie e offese scorre e ribolle come il sangue nelle mie vene. «Dove credi di andare? Dai, torna dentro, nessuno ti vuole. Non vali nulla». Ora non voglio più morire. Ora respiro. Soffio forte l’aria fuori dai polmoni, quasi a voler prendere la rincorsa. Mi lascio attraversare da quell’odio senza che riesca a farmi ripiegare su me stessa. Ingrano la marcia. Esco dal cortile e mi allontano, sguardo fisso sullo specchietto retrovisore. Temo possa rincorrermi come ha già fatto altre volte. Come un automa guido per quaranta chilometri, stando sempre in quell’unico respiro, senza staccare gli occhi dallo specchietto. Ho paura. Ma non voglio più morire.
«Dai una strofinata a Dante prima che salga sul divano… Piove fuori?».
«Fuori diluvia, ma dentro il cielo è finalmente, profondamente, sereno».

 © illustrazione di Giulia Imbrogli | Racconto di Alessandra Baraldi| Editing di Chiara Bianchi 


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