La prima nota | Racconti Indigeribili

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Scritto da Luca Manni
Illustrato da Antonella Depalma


La prima nota

‎‎‎‎‎‎‎Il concerto è cominciato da dieci minuti e Sandra già non ne può più. Si dimena su una delle scomode poltroncine in velluto bordeaux al centro dell’ultima fila della platea; il designer che le ha progettate deve essere un sadico.
“Dal dentista mi diverto di più!” dice sempre alle amiche, dopo un paio di cocktail, quando descrive un concerto di suo marito. A quel punto, la sua amica igienista dentale, che ha una storia clandestina col suo capo, dice: “Anch’io dal dentista mi diverto un casino!” Poi ridono e brindano alzando i bicchieri.
Sandra tira fuori il cellulare dalla borsa e controlla i messaggi: Livia le ha scritto ancora. La riga mostrata dalla notifica dice: “Amo!!! Indovina!! Mi hanno dato…”. Abbassa il telefono e sorride. Tutti quei punti esclamativi possono voler dire solo una cosa: finalmente andranno in vacanza insieme, da sole, nel posto su cui hanno fantasticato per più di un anno.
Là in basso, sul palcoscenico, Orazio si accartoccia sulla sua tromba, si piega, si storce, poi butta la testa all’indietro, la tromba gli esce dalla bocca come lo zampillo di una fontana, e spara un acuto che sembra il grido di un falco pellegrino.
Dopo essersi gustata qualche minuto di attesa, Sandra apre il messaggio di Livia e legge: “Amo!!! Indovina!! Mi hanno dato le ferie!!!!! Ce l’abbiamo fatta!!!”. Seguono cuori rossi, omini che fanno surf, faccine con gli occhiali da sole e altri cuori. Sandra risponde con bicchieri da cocktail, soli, lune, stelle e le scappa anche l’immagine di un’incudine, che aveva usato da poco ed era ancora in memoria. “L’incudine non c’entra” aggiunge. Faccina che ride.
Il tizio coi pantaloni grigi di fianco a lei sbuffa. Gli dà fastidio la luce del telefono? O la mancanza di rispetto verso il musicista? Lei vorrebbe dirgli: “Guardi che è mio marito, non credo si offenderebbe se sapesse…”, sorride di nuovo e rimette il cellulare nella borsa, “…se sapesse che sto chattando con la donna che amo e con cui lo tradisco da anni e con cui andrò due settimane alle isole di Capo Verde”. Sì, vorrebbe dirlo al suo vicino di poltrona e abbracciarlo fortissimo e alzarsi in piedi e urlarlo a tutta la sala: “Io e Livia andremo due settimane alle Isole di Capo Verde!”.
Si stringe nelle spalle e tende i muscoli, i suoi nervi brulicano di eccitazione, riesce a stento a stare ferma e composta. Si sforza di portare l’attenzione su quello che ha davanti agli occhi. “Vi piace davvero questa musica?” chiede mentalmente alla distesa di nuche, “Cosa vi passa per la testa?”.
C'è un tipo pelato in prima fila che le ricorda qualcuno. Dovrebbe essere uno dei critici di jazz innamorati di suo marito, le pare di averlo già incrociato un paio di volte.
Il pezzo finisce e Orazio si inchina, in modo piuttosto formale. Sembra un beccamorto, così secco e lungo in quel completo nero sulla camicia bianca. La sua postura naturale è ingobbita, nessuno dei suoi insegnanti è mai riuscito a correggerla. “Devi stare dritto, sennò il suono esce debole”, gli dicevano tutti. E lui è diventato lo stesso uno dei migliori in Italia. Forse nel mondo, secondo il critico in prima fila.
«Bravo!» qualcuno urla sopra gli applausi. Partono brevi fischi dalla platea e dai palchi, come di uccelli che si rimbeccano. Il critico sbatte furiosamente le mani sopra la testa lucida, pare voglia essere notato dal suo idolo. Dopo un paio di inchini, Orazio si ritira dietro le quinte. Uscirà ancora e suonerà un’altra mezz’ora, almeno. È come una specie di gioco delle parti che bisogna interpretare ogni volta: il musicista finisce di suonare, prende l’applauso, ringrazia, la gente continua ad applaudire, lui continua a ringraziare, esce di scena, gli applausi proseguono, lui torna trionfante sul palcoscenico e ricomincia a suonare.
Una volta, Orazio le ha detto che quella prima nota, la prima nota dopo la commedia della finta uscita di scena, è la ragione per cui fa tutto quello che fa. È convinto di riconoscere la vera devozione di chi ha bisogno di sentirlo ancora suonare. Lo capisce dal calore che la gente emana. «Ho un termometro interiore capace di misurarlo» aveva detto.
Se la temperatura aumenta in base a quanto chi gli è di fronte riesce a godere della sua musica, beh, lei è tagliata fuori dalla competizione. Dovrebbe dispiacersene? Forse, ma non è così. Lei ha Livia, ora, e la temperatura dell’aria intorno a loro quando sono insieme manderebbe in tilt qualunque termometro.
Sandra infila una mano nella borsa e tocca il cellulare, ma il signore accanto a lei, immobile da almeno un’ora, sembra stia aspettando il momento per sbuffare di nuovo.
Ecco l’ultima nota, infinita, dopo la quale Orazio si inchinerà e prenderà almeno altri cinque minuti di applausi, quanto le serve per raggiungere il retropalco e iniziare la sua, di commedia.

«Bravissimo, amore» dice Sandra, sfregandogli una mano sulla schiena, come se volesse consolarlo. Il pubblico, là fuori, non smette di applaudire e Orazio si guarda intorno, indeciso. «Vai a prenderteli tutti» suggerisce lei, dolcemente.
Dopo l’ennesimo bagno di folla e gli inchini rituali, Orazio torna dietro le quinte. In quel momento sopraggiunge un ometto calvo, strizzato in un completo beige, trafelato. È il critico.
«Tu ti rendi conto» squittisce l’ometto, gesticolando come una marionetta, «ti rendi conto di che razza di fenomeno è tuo marito? Uno così nasce ogni cento anni, come diceva Moravia di Pasolini. O era Pavese?» e ridacchia di naso, soddisfatto. Orazio si prende il complimento fissandosi le scarpe. «Comunque, sono Bruno, molto piacere. Sandra, scusa la confidenza, ma è come se ti conoscessi», le porge la mano grassoccia senza smettere di chiacchierare. Lei lo osserva con un sorriso automatico, la rapidità con cui quel tizio le è andato di traverso è sorprendente.
Orazio approfitta di una pausa nel monologo:
«Amore, vai pure a casa. Io e Bruno andiamo a cena al ristorante di un suo amico».
Perché non invitano anche lei?
Come se le avesse letto il dubbio in faccia, il critico dice:
«Sandra, è da mesi che cerco di avere un’intervista esclusiva con lui» e ammicca da sotto in su, cercando una complicità che lei non ha nessuna intenzione di concedergli.
«Ok… Beh, buona cena, allora» dice lei. Negli occhi di suo marito c’è un velo di malinconia. O di senso di colpa, non riesce a capirlo. Volta le spalle ai due uomini e si allontana, ma, prima di imboccare il corridoio che porta all’uscita, si gira per dare un ultimo sguardo: nella penombra ha l’impressione che i due si siano presi per mano.


 © illustrazione di Antonella Depalma | Racconto di Luca Manni | Editing di Chiara Bianchi 


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