La crepa | Racconti Indigeribili

La crepa | Racconti Indigeribili

Scritto da Cristiano Fighera
Illustrato da Edoardo Garibbo


La crepa

Mi guarda.
Lo guardo.
Sorrido.
Lui abbassa gli occhi.
Le mutandine sono  alte in vita, ben oltre l’ombelico. Rosa e bordate di pizzo. Con un fiocchetto al centro dell’elastico. Pensavo potessero bastare. Evidentemente no.
Ma quella è–– è una… ma che è quella, chiede. Guarda in basso, puntellandosi sulle braccia tese ai lati del mio seno. Lo stringo, lo bacio, cerco di riportarlo a me, apro le gambe, mugolo, mi strofino. Lascia stare, vieni, vieni qui, dico.
Nemmeno questo basta. Arretra un po’. Ha la fronte aggrottata. È confuso. Non capisce, povero caro. Sospiro. Lo lascio indietreggiare.
Alla fine, non è nemmeno tutta colpa sua.
È una stomia, dico.
Una?
Stomia: un pezzo di intestino che spunta dall’addome, invece di finire dove di solito finisce. Avevo un tumore al colon retto. Me l’hanno tolto. Ma la via naturale, originale, o come la vuoi chiamare, me l’hanno dovuta chiudere. Va bene?
Silenzio.
Più semplice, allora: la parte finale del colon mi spunta da un buco nella pancia. Una sacca adesiva raccoglie quello che il mio intestino produce.
Ancora silenzio? Inizio ad avere il sospetto che forse non avrei dovuto scegliere lui stasera. Eppure, ho scelto una sacca piccola, opaca, a fondo chiuso. Ho messo un filtro anti-odore. E l’ho svuotata quando sono andata in bagno l’ultima volta. Però invece di riprendere ad accarezzarmi, invece di dirmi che va tutto bene, invece di sorridermi e baciarmi, scivolarmi addosso e dentro, lui no, macché, se ne resta fermo. A guardarlo bene sembra di vedergli le rotelle del cervello che gli stridono dietro la fronte.
Flashback: dobbiamo fare piano, dico. Lui mi sta già mettendo le mani sui fianchi e sul culo, sta cercando di alzarmi il vestito, tira e strizza, stringe e alza, quando siamo dietro la porta di casa. Mhmm? dice. Ho una stomia, dico. Dobbiamo fare piano. Ma tu non devi preoccuparti di niente, penso a tutto io. Ecco: a pensarci bene forse non era quello il momento giusto. Ma quando lo dici? Se le cose vanno in quella maniera, se succede tutto in un attimo, quand’è che blocchi tutto e: scusa se ti interrompo ma volevo dirti che ho un pezzo di intestino rosso e umido che mi sbuca da qui. Quand’è il momento giusto?
Quindi lì sotto hai un sacchetto che raccoglie le... gli…, chiede. Ho un secondo buco del culo nella pancia, e intorno c’è un sacchetto che raccoglie la merda. Così ti va bene? A quel punto lui si fa di lato e si siede. Così restiamo zitti per un po’. A me viene di fumare, ma la borsetta chissà dov’è finita. Spero abbastanza vicina alla porta.
Sbuffo, forte, per farmi sentire. Incrocio le braccia. Lui tiene la testa bassa. Poi se la gratta, poggia i gomiti sulle ginocchia e unisce le dita. Ho già capito che me ne devo andare. Faccio per alzarmi. Lui dice: non è per quello che hai, ma per come l’hai detto.
Ma vaffanculo. Adesso non cercare scuse. Sai cosa, la prossima volta ti faccio un disegno, così magari capisci meglio. Anzi no, perché indovina un po’? Non ci sarà una prossima volta.
Non è che per il fatto di avere quella cosa sei autorizzata a sentirti superiore, risponde. Accidenti, sentilo un po’, non è davvero il colmo?
E tu solo perché non ce l’hai – che poi non è per merito tuo ma è un caso – non sei costretto a fare lo schizzinoso e comportarti per forza da stronzo.
Flashforward: mi vesto, esco dalla stanza (lui non mi segue), vado all’ingresso, rimetto le scarpe che ho scalciato via quando siamo entrati, raccolgo la borsetta, controllo di avere telefono e chiavi, apro la porta, non mi volto per non dargli soddisfazione (casomai mi avesse seguita), ed esco. SBAM. Fine della storia. Almeno nella mia testa.
Ma quando allungo una mano per recuperare la gonna scopro che lui ha altri piani.
Se mi avessi…, tenta lui.
Te l’ho detto, ma eri troppo occupato a palparmi il culo per darmi retta. E poi scusa, perché ti sforzi tanto, adesso? Che ti importa? Prima sei scappato, magari ti facevo pure schifo. Mentre adesso è solo… che cosa? Pietà? O non vuoi fare del tutto la figura del cretino?
Lui si alza, gira intorno al letto, mi guarda. E ha occhi così puliti e sinceri che di colpo mi si chiude lo stomaco. Mi vengono in mente le cose più terribili, tipo se solo mi lasciassi spiegare, anche mia madre ne aveva una, ha avuto il tuo identico male, io l’ho amata così tanto, e quando ho capito che anche tu sei stomizzata è stato come… come un segno del destino. Oppure l’ha avuta sua sorella, o il suo cane, o il canarino.
A quel punto mi viene davvero paura. Accelero il passo sul serio, per non dargli il tempo di spiegare, di non pronunciare qualche terribile, romantica, irresistibile, invincibile verità. Il vestito basta riabbassarlo. Le scarpe, le scarpe…
Ascoltami, dice lui. Tende le mani. Ma io non voglio davvero sentire. Lasciami! gli grido. Lasciami! E mi viene da aggiungere: stiamo così bene adesso, io sto così bene, siamo così soddisfatti dentro la nostra crepa, perché vuoi riaggiustare per forza le cose? e per non dirlo sul serio devo mordermi le labbra. Quando poi lui mi tende le braccia mi scanso e cerco di passargli a lato. Non mi toccare, non mi devi toccare! gli spiego.
Lui alza le mani al cielo e indietreggia, ma mettendosi tra me e la porta. Ripete: se solo mi lasciassi spiegare… Ma io non voglio sentire spiegazioni, non voglio sentire storie romantiche, voglio solo tornare a casa senza dovere niente a nessuno.
E poi lui arrossisce e tutto d’un fiato dice: ho una parafilia!
Mi fermo.
Una?
Una parafilia.
Silenzio.
È una fantasia erotica ricorrente, e intensa. Ce l’ho e basta, non ci posso fare nulla. Coprofilia.
Ancora silenzio.
Coprofilia, ripete lui. Mi piace giocare con… E indica la mia pancia, la mia sacca.
Ma che schifo. Che schifo!
Non ci posso fare niente, ripete. È così e basta.
Mi guarda con la coda dell’occhio, come farebbe un cane che ha appena masticato il divano di casa e attende la punizione. Io, dalla mia crepa, tiro un gran sospiro di sollievo.
Allungo una mano verso il suo viso.
Chissà se per uno schiaffo, o per una carezza. 

 © illustrazione di Edoardo Garibbo | Racconto di Cristiano Fighera | Editing di Chiara Bianchi 


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