Note sul suicidio | Simon Crithley

Note sul suicidio | Simon Crithley
Nei biglietti d’addio dei suicidi si trovano molte risposte al gesto, ma non tutte. Il filosofo Simon Critchley intraprende un viaggio attraverso il pensiero di chi lo ha preceduto per comprendere le cause della reticenza della società al parlare di suicidio

di Christina Bassi

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Con la collana Particelle la casa editrice Carbonio Editore porta in libreria scritti brevi che si occupano di temi di attualità, politica, arte e filosofia.

Ho avuto modo di leggere l’ultima uscita, Note sul suicidio, del filosofo Simon Critchley.
Critchley insegna alla New School of Social Research di New York, e il suo studio sul suicidio ha radici lontane, ma si è fatto più concreto negli ultimi anni, quando si è reso conto che parlare di questo argomento anche in occasione di convention o in ambiti universitari suscitava nel pubblico imbarazzo e sconcerto. Perché questo tabù? Perché dare per scontato che solo chi ha o ha avuto pensieri suicidi debba trattare questo tema?

Nel 2013 ha organizzato un laboratorio di scrittura creativa nell’ambito di un’installazione artistica chiamata provocatoriamente Scuola della Morte. All’interno di questo laboratorio i partecipanti erano chiamati a scrivere il proprio biglietto d’addio, non prima di aver letto e sviscerato decide di biglietti d’addio, tra cui comparivano quello di Kurt Cobain e quello di Virginia Woolf, ma anche quello del responsabile della strage di Isla Vista Elliot Rodger.

Nella sua ricerca alle origini dell’atteggiamento della società contemporanea nei confronti della tematica del suicidio, Critchley parte come ovvio da lontano: da Platone e Seneca, per cui il suicidio non era completamente da escludere in quanto scelta d’onore, ai cristiani, che rivoluzionano il concetto che la vita ci appartenga mettendola invece nelle sole mani capaci, quelle di Dio.

Nel tempo molti filosofi hanno parlato del tema, e ad oggi ancora non si è approdati a un sentire comune, anche perché il suicidio è un argomento incredibilmente sfaccettato che implica non solo un pensiero teoretico e teologico ma soprattutto considerazioni caso per caso: è giusto condannare il suicidio assistito se la vita per la persona che lo sceglie comporta esclusivamente dolore? Si può condannare un suicida come fosse senziente, se la depressione si è impossessata della sua capacità di intendere e volere?

Nonostante la complessità dell’argomento Critchley mantiene un tono più divulgativo che accademico, incredibilmente accessibile, e fa della sua esperienza materia di riflessioni sul tema, il che rende questo saggio adatto a chiunque abbia un minimo di curiosità sul suicidio come parte dell’esperienza umana.

«Forse scrivere è la cosa più vicina alla morte, nel senso che scrivere è un prendere licenza della vita, un temporaneo abbandono del mondo e dalle proprie meschine preoccupazioni per tentare di vederci più chiaro. Scrivendo, si fa un passo indietro e fuori dalla vita, per guardarla in modo più spassionato, nello stesso tempo da una distanza maggiore e da una maggiore prossimità. Con un occhio più fermo. Si possono mettere a tacere le cose, scrivendo: fantasmi, tormenti, rimpianti, e i ricordi che ci scorticano vivi».


Titolo: Note sul suicidio
Autore: Simon Crithley
Casa editrice: Carbonio editore
Pagine: 152
Prezzo di copertina: 9 euro
Compra sul sito dell’editore 


 

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