Bon Iver - 22, A Million

Bon Iver - 22, A Million

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Le montagne del Trentino, il numero 5, le more selvatiche, il 18 ottobre 2001, l’odore delle matite bruciate, un biglietto aereo Roma-Riga, “Liliac wine” di Jeff Buckley. Associazioni a caso? Non proprio. La sostanza del primo stato della mia epidermide, poi delle ossa, poi di quella camera che non riesco a vedere, direi. Ogni persona è una matrioska, un insieme multistrato di luoghi che contengono odori, che avvolgono i ricordi, che a loro volta racchiudono le emozioni, la casa dell’inconscio inspiegabile. Quanti io dobbiamo valicare prima di arrivare al nostro midollo? Ma poi, ci conosciamo davvero così bene da riuscire ad elencarli?

22, A Million”, l’ultimo album di Bon Iver uscito il 30 settembre per Jagjaguwar Records, urla a gran voce ricerca interiore, ruggisce diradando gli alberi, costruisce le strade fino al lago al centro del bosco dove Justin Vernon attende l’inverno cantando le bellezze del Wisconsin su una chitarra acustica.
Piramidi, agnelli, il misticismo del Tao, il numero 22, i boschi della natia Eau Claire, un viaggio dall’Ace Hotel a Santorini, la matrioska Justin è un insieme di cifre e simboli legati al suo bipolarismo tormentato, così ricorrente da dedicare l’intero terzo disco al tema del doppio, del bene divino e del male d’amore.
22 è Justin; al minuto 22 la sveglia puntata per alzarsi al mattino, 22 il numero sulla sua maglia sportiva da ragazzo, 22 come simbolo della dualità con sé stesso e con gli altri. Ho sempre pensato che nella voce di Vernon ci fosse qualcosa di mistico e corale, con quel suo abile saltare da un falsetto alla voce piena. Viste le premesse simboliche, però, era alta l’aspettativa di una folla di sorprese musicali durante l’ascolto di “22, A Million”.

Diciamolo subito, il primo impatto sonoro è abbastanza spiazzante. Le atmosfere eteree di “Bon Iver” del 2011 e da bacio sull’amaca nel portico della baita del primo “For Emma, forever ago”, lasciano spazio al suono delle macchine in tilt sotto una tempesta elettromagnetica (“21 M♢♢N WATER”) e al rumore cadenzato dei passi di un esercito di bestie che avanza dalla natura acustica verso la città elettronica (“10 d E A T h b R E a s T ⚄ ⚄”). Vocoder, fiati effettati e i beat sporchi in loop di cui è pieno “22, A Million” ti scuotono al punto di farti uscire dal letargo sonnacchioso dell’ (h)Iver per catapultarti in quel luna park di domande e sensazioni dualistiche che è la vita. In “715 - CRΣΣKS” la giostra dei doppi gira vorticosamente, tendi la mano per aprire le mille matrioske di Justin e in un’unica traccia vocale trovi tutti gli strati dell’ugola del cantautore, dal baritono al falsetto. Registrata su Messina (un vocoder alternativo dal nome del suo sound engineer che splitta la traccia in diverse armonie), “715 - CRΣΣKS” è il nuovo che avanza, la promessa di un’evoluzione elettronica personale che prende spunto dalle collaborazioni degli anni recenti. Il riferimento alle sonorità di quella “Fall creek boys choir” di James Blake è palese per tutta la durata del brano che, non a caso, contiene la stessa parola “creek” nel titolo oltre al campionamento della melodia di Blake nella canzone.

In “22, A Million” presente e passato del cantautore si incontrano, è forte però l’odore dell’incenso al pino del Wisconsin che Justin deve aver acceso in sala prove durante la registrazione dell’album. Così forte che nella nona traccia “___45___” (4+5 = 9..ma quanto si sarà divertito a scegliere i titoli dei pezzi?) esplode nel finale un banjo che fa tanto Bon Iver dei primordi con la spiga di grano in bocca.

L’album prosegue, le corde vibrano, l’odore dell’incenso si fa così pungente che in “08 (circle)” riesci quasi a vedere il piccolo Justin davanti al giradischi con in mano un LP di Kate Bush e Peter Gabriel, tanto è il dream pop/rock anni ’80 che scorre nelle sue vene e che abbiamo già sentito in “Beth/Perth” del 2011.

Quante matrioske contiene Justin? E che rapporto ha ognuna di loro con il mondo? Per provare questo sdoppiamento così forte, Justin non dev’essersela passata tanto bene negli ultimi anni. L’uomo dei boschi mal si adatta alle piante di plastica nei grandi uffici di città, anche quando sa di essere diventato grande. Tenta così di nascondersi, di annunciare il suo ritorno in maniera velata attraverso una campagna pubblicitaria fantasma à la Radiohead tutta cartelloni simbolici per le strade d’America, salvo poi correre ai ripari per la mancanza d’aria naturale organizzando la conferenza stampa del disco in una baita del Wisconsin un mese prima dell’uscita. Per la serie “E facciamola prima la promozione, così mi levo dalle scatole ‘sta rottura e posso tornare a mettere i piedi a mollo nel lago”.
Nei cinque anni trascorsi dal quel “Bon Iver” così acclamato, la ricerca sonora del nostro è andata avanti di pari passo con le delusioni dell’amore, passando in una sorta di autoreverse dagli arrangiamenti vocali morbidi e pieni ma lineari dei primi album, alla stratificazione effettata della sua voce per renderla graffiante e quasi dissonante. Come a dire “il dolore ti sporca”.
L’evoluzione è piuttosto lampante nel primo strato dell’epidermide di Justin, andando a scavare però troviamo il buon vecchio Bon Iver con il berretto di lana da montagna. Il punto è che dopo cinque anni di silenzi, side projects stimolanti e collaborazioni musicali di vario genere, ti aspetti forse qualcosa di più spiazzante nella sua totalità in cui, magari, anche i banjo diventano sporchi e di acustico c’è solo l’apparecchio che devi metterti per riparare i “danni” di una devastante distorsione.
In quest’ultimo disco le basi ci sono tutte eh, il misticismo che stimola alla ricerca e il vocoder Messina pure, di dolore poi non ne parliamo. Al prossimo giro sicuramente dovrò munirmi di numero verde Amplifon e di cucchiaino per raccogliere la mascella da terra prima dell’ascolto del cd.

Discorso a parte merita la numerologia dietro i titoli delle tracce. "33 “GOD”" altro non è che un richiamo al cristianesimo: 33 sono gli anni di Cristo, la canzone dura 3 minuti e 33 secondi ed è uscita esattamente 33 giorni prima dell’album.
21 M♢♢N WATER”, la settima traccia, deriva dalla moltiplicazione del 7: 7x3 = 21. O 777, non a caso il numero di Dio che segue quel 666 satanico nel titolo del sesto brano.
Tanto, troppo ci sarebbe da dire su questo album così stratificato. Ogni tentativo di spiegazione però toglierebbe il piacere della scoperta all’ascoltatore.
Premete play, lascio a voi aprire tutte le matrioske che si nascondono dentro Bon Iver.

 Le tracce da ascoltare: 10 d E A T h b R E a s T ⚄ ⚄, 715 - CRΣΣKS, 00000 Million

Artista: Bon Iver
Album: 22, A Million
Tracce: 10
Etichetta discografica: Jagjaguwar Record
Uscita: 30 settembre 2016
Produttore: Justin Vernon
Genere: Folktronica, indie folk 

Se ti piace ascolta anche: James Vincent McMorrow, Sufjan Stevens, Peter Gabriel, James Blake

© Isabella Di Bartolomeo

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