Manchester by the sea - Kenneth Lonergan

Manchester by the sea
Manchester by the sea - Kenneth Lonergan

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Quando decido di vedere un film sentimentalmente impegnato metto sempre un pacchetto di fazzoletti di carta nella borsa ché tanto lo so, ho la lacrima abbastanza facile.

È andata così anche nel caso di “Manchester by the sea” ma i fazzoletti sono rimasti intonsi nella borsa.
A questo punto il vostro primo pensiero potrebbe essere: “quindi non ti è piaciuto se non hai pianto!”. No, è esattamente il contrario, è uno di quei film talmente tristi che non ti riesce nemmeno di piangere.

Kenneth Lonergan racconta con rara capacità e sensibilità un dramma senza mai cadere nel banale e nel melodrammatico.

La storia è incentrata su Lee Chandler, apatico tuttofare che affronta la vita con disinteresse, costretto a portare un peso sulle spalle più grande di lui.
La sua quotidianità irrilevante e vuota cambia quando deve fare i conti con la prematura morte del fratello maggiore. Nel momento in cui deve tornare a Manchester-by-the-sea, cittadina del Massachussets, per occuparsi delle questioni pratiche legate alla morte del fratello, Lee si ritrova nominato come tutore del nipote adolescente e deve rispolverare i fantasmi del passato nascosti nei suoi armadi. 

La scrittura della sceneggiatura, vincitrice di Oscar, è lineare e pulita e i flashback sono perfettamente integrati nel filo narrativo. Il risultato è un film compatto, dove la chiave di tutto è l’ermeticità dei sentimenti.

Mai nessuno fu più ermetico di Casey Affleck, vincitore - meritatissimo - dell’Oscar come miglior attore protagonista. Casey veste i panni di un uomo distrutto da un errore umano che ha toccato il fondo e l’ha arredato rimanendo fermo lì senza la capacità di ricominciare a vivere.
Non ci sono quasi per niente lacrime liberatorie in “Manchester by the sea” e il dolore è fisso nel petto dei protagonisti (e di chi guarda).

I colori sono pallidi e i cieli lividi, i paesaggi freddi e spogli come lo sguardo vuoto e spento di Lee.

Questo è uno di quei film che ti colpisce come un pugno allo stomaco, di quelli che ti lasciano senza fiato perché arrivano improvvisi proprio come il dolore che porta una perdita.
Lonergan ci sbatte in faccia la sofferenza, quella che si vede ma che non fa rumore all’esterno e che dilania. La vita che crolla in mille pezzi, il fondo raschiato come è raschiato il fondo della bottiglia che ti sei bevuto per cercare di dimenticarti quanto fa male.
Interessante e veritiero anche il dolore dal punto di vista del figlio adolescente Patrick (un bravissimo Lucas Hedges) che segue il corso naturale del lutto, dal continuo bisogno di distrarsi con ragazze e amici ai crolli emotivi di notte davanti a un frigorifero.

Un film di poche parole, di apparente silenzio ma di dolore urlato da dentro e condito da un tema musicale straziante.
Lonergan, infatti, sceglie di esprimere la solennità del dolore attraverso i lunghi silenzi e l’Adagio in Sol minore di Albinoni al posto di pianti e dialoghi straccia-cuore.
E il cuore te lo straccia benissimo davanti all’evidenza della vita che ti lascia l’amaro in bocca e ti dice a chiare che lettere che soffrire è inevitabile. 

Consiglio la visione purché andiate consapevoli che ne uscirete devastati.

© Giulia Cristofori

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