#morsostellato12 | Nicola Gobbi

#morsostellato12 | Nicola Gobbi


© Nicola Gobbi per CrunchEd

Ci sono regali che stupiscono come i primi fiocchi di neve: l’emozione del primo abbraccio, una canzone che ti riporta ad un momento prezioso, il gusto della prima ciliegia di stagione, un'illustrazione dedicata solo a CrunchEd. Ed è così che Nicola Gobbi ci fa sentire oggi, speciali.

Nato ad Ancona, ha pubblicato nel 2013, insieme a Jacopo Frey, il suo primo romanzo a fumetti “In fondo alla speranza - Ipotesi su Alexander Langer”, edito da Comma 22.  Nel 2015 “Come il colore della terra”, edito da Eris edizioni.  Costruisce con Simone Scaffidi “Segnali di fumo” rubrica a fumetti su “Carmilla online”.
Da poco ha pubblicato il suo nuovo libro a fumetti “Il buco nella rete” con la casa editrice Tunué - TipiTondi e “Il punto di vista degli ulivi” edito da Hazard Edizioni.
Dal 2014, gioca e lavora con il fumetto in varie scuole.

Insomma, non potevamo mica lasciarcelo sfuggire, gli abbiamo dovuto necessariamente fare #qualchedomanda

Ciao Nicola e benvenuto in CrunchEd.
I tuoi lavori traggono ispirazione e origine dalla realtà.
Ambientazioni e temi sono basi sulle quali costruire favole libere dai vincoli che la realtà conosciuta o storica invece impone.
Questo trampolino di lancio lo hai scelto tu o è ciò che prediligi istintivamente per scagliare più lontano possibile ciò che vuoi raccontare?
Ciao a tutt* e grazie per avermi invitato a questa chiacchierata. 
Penso che tutte le storie, anche le più fantastiche e assurde, nascano dalla realtà che ci circonda, dal mondo che viviamo quotidianamente. Non a caso quando mi capita di giocare con i bambini all’interno dei laboratori di fumetto che spesso tengo, il primo esercizio è sempre di osservazione del reale.
Viviamo in un mondo pieno di immagini che spesso ci limitiamo a vedere senza osservare. Invece è proprio l’osservazione del reale e lo sforzo creativo di cambiare il nostro punto di vista, che crea i presupposti per raccontare una buona storia e diventa un elemento fondamentale per il fumetto che racconta con parole e immagini, ma soprattutto con una sequenza di vignette e inquadrature. 
Attingere alla realtà ti è utile anche per veicolare un’identità sociale o politica? Per molte persone, che siano da un lato o dall’altro della matita sono due aspetti da tenere separati, per quanto possibile. Come ti comporti tu su questo terreno accidentato? La politica per me non è il termine, spesso abusato e demonizzato, legato alle strutture istituzionali, ai partiti, allo stato. La politica e il fare politica per me è una pratica quotidiana, fatta di piccole cose, di scelte e riflessioni che compiamo ogni giorno, è come scegliamo di vivere sia individualmente che collettivamente, come affrontiamo le imposizioni a cui il nostro contesto sociale ci mette di fronte.  
Per me la politica diventa dunque una questione molto intima, semplice, emotiva che a volte si manifesta in pratiche quasi inconsce che contribuiscono a formare la nostra personalità. 
Per questo mi sembra difficile tenere separati i due aspetti, la politica e il raccontare storie. D'altronde, per me anche semplicemente scegliere di voler raccontare storie è una scelta politica. La questione sta in ciò che intendiamo con il termine politica, ma su questo argomento bisognerebbe interpellare persone molto più preparate di me, in fondo io sono solo un romantico fumettaro.  

Sfogliando tra illustrazioni e vignette si possono saziare gli occhi con soluzioni visive variegate.
Disegni a matita, chine, acquerelli, acrilici, matite colorate. Un buffet di tutto rispetto.
Il digitale manca all’appello. Dal momento che è uno strumento sempre più utilizzato la sua assenza risulta visibile. E fa piacere notare differenze non solo stilistiche ma anche di strumentazione nel vasto mondo del fumetto.
Qual è il tuo rapporto con questi mezzi espressivi? Ce n’è uno che preferisci su tutti gli altri?
Ahimè, sono sempre stato un po' un troglodita del digitale. Per molto tempo, lavorare in  digitale, è stata una cosa che non mi ha attratto.
Fortunatamente con il passare degli anni, mi sono accorto che le mie convinzioni riguardo il digitale erano delle grandissime stupidaggini. 
Il digitale ci da un’infinità di soluzioni grafiche del tutto originali e tremendamente affascinanti e al momento sto vivendo un personale riavvicinamento al mondo del digitale. Uno dei miei ultimi lavori, “Il punto di vista degli ulivi” edito da Hazard Edizioni è colorato totalmente in digitale ed è stato il mio primo esperimento, ancora un po’ grezzo, di utilizzo di questo strumento.
Detto questo io amo particolarmente il bianco e nero. Credo però che le tecniche grafiche utilizzate nei fumetti debbano avere una funzione narrativa e non solo estetica, per questo ci sono alcune storie che reclamano il colore e altre no.
Inoltre amo molto il segno per questo nel colorare prediligo forse le matite e i pastelli che riesco a gestire con più disinvoltura, ma devo ammettere che è con il pennello che ho una lunga e complessa relazione sentimentale. Quello che mi lega al pennello è un sentimento profondo e dunque totalmente contraddittorio, fatto di momenti di amore incondizionato e di momenti di odio totale. 

Il percorso fino alla carta. Nel tuo caso, come ci arrivano le immagini lì? E ancor prima di essere idee chiare da trasmettere alla matita, da dove vengono?
Fino ad oggi ho sempre collaborato con degli sceneggiatori, che prima di essere professionisti sono sicuramente dei grandi amici. Le storie che ho disegnato e le immagini che le hanno animate nascono dunque da uno scambio, un confronto, un dialogo con lo sceneggiatore. Un dialogo fatto non solo di parole ma anche di scambi di immagini , fotografie e documentazione varia. 
Inoltre, come si diceva prima, le mie immagini nascono dal reale, dalle cose che osservo intorno a me, dalle esperienze che vivo.

Che rapporto hai con il tempo e quale parte della giornata preferisci per disegnare?
Del tempo potrei parlare per ore. Il tempo è per me un elemento fondamentale. Penso che riappropriarsi del tempo sia una delle questioni principali per la costruzione di un cambiamento verso un “mondo migliore”.  Nella mia vita, chiaramente, gestisco il mio tempo in maniera disastrosa. La problematica tempo e i ritmi imposti dal nostro stile di vita sono una delle cose che emotivamente mi mettono più in difficoltà. 
Io sono una persona dai tempi lenti in tutto, lento nel disegno, lento nel parlare, lentamente elaboro le mie riflessioni, lentamente riesco a costruire dei rapporti umani. “Lentamente però avanzo”, in un mondo che non tollera la lentezza, che aspira alla velocità. Io, mi rivendico la mia lentezza, penso che sia un importante strumento di lotta e cerco di riportarla nelle mie storie disegnando sequenze lente, di silenzi e di attimi che si potrebbero dilatare all’infinito.
D'altronde è proprio la gestione del tempo nei fumetti, così personale, così diversa da lettore a lettore, uno degli aspetti che più amo in assoluto.
Quale parte della giornata preferisco per disegnare? Dipende molto dai momenti, in genere però, forse la mattina quando sono più fresco, visto che per me il disegno è una cosa impegnativa e molto stancante, anche se i momenti più creativi arrivano spesso con il calare del sole. 

Sei docente alla Casa delle Culture di Ancona, con il tuo Laboratorio di Fumetto. A parte la domanda banale sul come sia insegnare a giovanissime promesse, credi che il fumetto abbia un qualche potere pedagogico e di formazione? Come mai secondo te in Italia è ancora difficile istituire corsi di fumetto nelle scuole dell’obbligo?
Credo molto nel potenziale educativo del fumetto. A prescindere dalle storie che si raccontano, il fumetto ha nel suo DNA una miriade di spunti su cui basare un discorso pedagogico e non solo con i più piccoli. 
Educarci a cambiare il nostro punto di vista, ad osservare le cose da “inquadrature” differenti, la sequenzialità e quello spazio quasi metafisico tra una vignetta e l’altra, il tempo, creare il movimento utilizzando immagini statiche, sono tutti elementi che esercitano la nostra creatività, che alimentano la nostra fantasia, elementi dallo sconfinato potenziale pedagogico.
Inutile dire che per me allenare la creatività è forse uno degli aspetti più importante nel percorso formativo di una persona (e un’azione politica imprescindibile, per tornare al discorso di prima).
Nei miei laboratori cerco sempre di alternare ai momenti di elaborazione grafica momenti di gioco fisico, sempre però legato all’argomento che stiamo affrontando, e così, giochiamo ad osservare, entriamo dentro le vignette, scopriamo la prospettiva, la sequenzialità, ma anche la storia e i personaggi del mondo del fumetto. 
Ho avuto diverse opportunità di lavorare all’interno delle scuole primarie e dal confronto con alunni ed insegnanti mi sono reso conto che il fumetto potrebbe essere un ottimo strumento anche per assimilare concetti pedagogici più convenzionali, su cui bambini e le bambine già lavorano all’interno del programma scolastico. 
Io credo che l’interesse nelle scuole dell’obbligo, per corsi di fumetto ci sia, soprattutto all’interno delle scuole primarie (che io conosco meglio). Le difficoltà ad istituire corsi di fumetto all’interno delle scuole sono legate hai problemi strutturali della scuola pubblica nel nostro paese, problemi numerosi e concreti che però richiederebbero almeno un minimo di altre dieci pagine per parlarne.

Ora una domanda irrinunciabile per il palato di CrunchEd: qual è il tuo rapporto con la musica e che tipo di musica ascolti quando rifletti su nuove idee?
Io ho suonato il sassofono per diversi anni, senza grandi risultati devo ammettere e chiaramente amo molto la musica. 
Per quel che riguarda i miei gusti musicali, io vengo da un passato punk, Hc e soprattutto thrash, metal e grind, generi musicali che mi hanno accompagnato per tutta la mia lunga adolescenza. 
Parallelamente però ho sempre avuto una grande fascinazione e amore per il Jazz (in fondo suonavo il sassofono, in un gruppo che faceva metal, ma suonavo il sassofono). Ed è forse proprio il Jazz che mi accompagna da più tempo nelle mie sessioni di disegno. 
Altro genere che amo molto è l’hip hop, quello vecchio però, sia italiano che francese e naturalmente statunitense.
Devo dire che però i miei ascolti, partendo da questi presupposti, si stanno discretamente espandendo verso una svariata moltitudine di generi. L’unica cosa che non riesco proprio ad accettare è l’indie rock, soprattutto italiano, mi dispiace ma è più forte di me.

Chiudiamo con una domanda classica e, intanto, ti ringraziamo per la disponibilità: progetti futuri? A cos’altro stai lavorando?
Al momento ho diverse idee che mi frullano per la testa, tutte ancora in stato embrionale, che si rincorrono, si mischiano e si trasformano in continuazione. Dovrei partire con un progetto per la Francia, dove vivo ormai da un annetto, ma ancora non c’è nulla di ufficiale e quindi non mi sbottono. 
Quello che posso dire è che mi piacerebbe sperimentarmi in un lavoro totalmente mio, scritto e disegnato da me. Una storia fantastica, un’avventura silenziosa, che parli di me senza parlare di me, ma questo sarà un progetto molto a lungo termine, anche perché gli stimoli sono tanti e le trame continuano a cambiare in maniera vorticosa. 

Ciao Nicola e a presto!
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