La forma precisa dell'amore | Racconti Indigeribili

La forma precisa dell'amore | Racconti Indigeribili

Scritto da  Francesca Coppola 
Illustrato da Miriam Ullrich


La forma precisa dell’amore

È mattina, si dorme da qualche altra parte. Io non posso perché provo fastidio, un dolorino preciso fra la scapola e il fondoschiena. Stanotte, ha rimosso l’ennesima crosta, non prima di averne leccato i contorni. Nessuna ferita riesce mai a guarire con lui che si stende accanto e mi scruta. Decide quale riaprire e poi si ostina a seguire la scia del sangue.

L’ho conosciuto su una chat, di quelle che ti ci infili solo per godere. Mi ero preparata: una coperta, una bottiglia d’acqua e il cellulare appoggiato alla testiera del letto. Volevo agganciare una scena lesbo soft e, invece, comparve un messaggio: «Le vuoi vedere le mie cicatrici?». Risposi di sì per curiosità. Accese la webcam: era nudo.  Le sue cicatrici erano vere e cattive.  Non so se la mia fosse solo compassione o attrazione. Il suo corpo era una mappa di straziante sofferenza. Emanava quasi calore: tagli, morsi, graffi ancora aperti, resti indecifrabili di qualche tatuaggio. Il viso, invece, era l’esatto contrario: pulito, dallo sguardo freddo e sottile.

Fin dalle prime battute avevo capito che a lui non fregava un cazzo di nessuno. Io, al contrario, non facevo che pensare a tutta la merda che mi avevano tirato addosso. «È di notte che escono gli scarafaggi», diceva, «le serrande non sono chiuse davvero. Condividiamo l’ansia, prepariamo insieme la prossima mossa, gli spazi non sono più illusori».

Di notte mi ha insegnato a farmi massacrare dai miei mostri.

Uno, due, tre: contavamo e aprivamo.

L’aceto bruciava sulla carne viva, e fissavamo quel dolore senza porvi rimedio. Sarebbe bastato aprire il rubinetto, l’acqua trasparente però non mi aveva mai dato sollievo. Una volta da bambina, in spiaggia, fui attratta da un secchiello rosso e blu che apparteneva a un bambino. Stava spingendo qualcosa sul fondo. L'acqua gli schizzava addosso. Aveva catturato un piccolo granchio. Non si muoveva, eppure il bambino continuava a infierire sul suo corpo. Prese a staccargli tutte le gambette con attenzione.  Una volta fatto a pezzi, rimise il crostaceo nel secchio. Solo allora, la madre gli disse di buttarlo in mare, perché doveva ritornare a casa: era il suo destino. L’acqua inghiottì il crostaceo dopo un piccolo tonfo, la melma divorò il cristallino.

Ho imparato da M. la forma precisa dell’amore: occhi negli occhi, colpirsi da soli e, insieme, godere nel soffiare sulle ferite aperte. È da sempre un atto violento la nascita, lo dice spesso, e io, mi fido delle sue parole.


 © illustrazione di Miriam Ullrich | Racconto di Francesca Coppola | Editing di Chiara Bianchi 


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