DreamRoad 666 Street | Racconti Indigeribili

DreamRoad 666 Street | Racconti Indigeribili

Scritto da Laura Ramieri
Illustrato da Elena Lazzati


DreamRoad 666 Street

Rami appuntiti come artigli strisciavano sul muro, abbellendo quello che restava di uno scheletro funesto: la Villa. Annerita, cupa, si nascondeva alla fine di una via tremendamente pallida. La luce, proveniente dal lampione più vicino, restava distante e illuminava la Villa di sbieco, creando ombre oblique e inquiete, in una sorta di sorriso maligno. I gradini di ingresso, sette, orlati da muschio verdastro, avevano inciso su ogni alzata il disegno di una stella. Sette erano le finestre della facciata, tre al piano terra, tre al primo piano, e un lucernario. Sette erano i gradini, le stelle, le finestre, e sette i rami aggrappati a graffiare quella pena. Sette i giorni di affitto minimo stabilito dai Proprietari per un turista avventuroso, e sette gli anni che nessuno vi abitava più. La solitudine aveva costretto la Villa a una infelicità eterna, deformandola nel dovere di non farsi notare dalla crudeltà di critiche e mormorii. Custodiva le maledizioni della fragile paura umana.
I proprietari si identificavano con l’indirizzo della Villa: DreamRoad 666 Street. Il numero era scritto in nero su un cartello all’inizio del vialetto, senza nessun nome. Nessuno aveva più telefonato negli ultimi sette anni. Fino all’arrivo di Miss Alabarda Newll.
Della Villa, come dei gatti, si occupava Lorenza, una signora gentile che indossava sempre stivali di gomma neri. I gatti della Villa: unici esseri viventi in quello sconforto. Lorenza arrivava a piedi tutte le mattine alle sette, e tornava allo stesso modo tutte le sere alle sette. Estate, inverno, pioggia o sole. Sempre alle sette, sette di mattina, sette di sera. Solo la mattina entrava nella Villa, la sera lasciava qualcosa sui gradini per i mici e chiacchierava con loro. I gatti si chiamavano Primo, Secondo e Ultimo. Primo, rossastro, un occhio nocciola e uno verde, dormiva sui gradini di ingresso, il suo sguardo attento osservava tutto; Secondo, grigio scuro, si nascondeva tra le foglie, i suoi occhi gialli apparivano come piccole luci accecanti; Ultimo, candido, occhi azzurri, era semplicemente perfetto. I tre gatti abitavano la Villa, e nessuno li avvicinava, ritenuti portatori di tremenda sfortuna: guai, se Primo avesse rivolto quello sguardo asimmetrico verso un passante! Cattivo presagio, vedere brillare gli occhi di Secondo tra le foglie! E Ultimo era il più temuto: una creatura troppo perfetta per considerarsi randagia.
Tutti immaginavano che Lorenza fosse la custode della Villa, tutti conoscevano i gatti della Villa, tutti conoscevano tutto, una realtà così immutata che nessuno ci badava più. Le persone sapevano di non dovere passare da quelle parti, e chi ci si ritrovava mormorava scaramantici scongiuri sottovoce.
Chi mai vide la signorina Alabarda Newll? 

Il giorno in cui scomparve il giornale della contea pubblicò una foto e si permise, data la gravità del fatto, di stamparla a colori: ecco Miss Alabarda Newll, mezzobusto, sguardo miope, viso raggrinzito. La stampa a colori a poco servì poiché le tonalità della signorina Newll quasi non sembravano tali: una camicetta rosa triste, una gonna asfalto piovoso, un cappotto sfumatura dolore. Niente, in lei, appariva rilevante, ma qualcosa di quella foto restava in mente: una cattiveria che faceva rabbrividire. Il titolo recitava:
Avete visto questa donna? Miss Alabarda Newll era ospite presso la Villa di DreamRoad 666 Street.
Tutti lessero l’articolo, il giornale raggiunse tirature da capogiro dovute alla curiosità dei paesi della contea in cui risuonava la sconvolgente notizia. Tutti giurarono di conoscere la verità: la signorina Newll era una nipote dei proprietari, ospite nella Villa per una valutazione di vendita della tenuta. Tutti la descrivevano come una donna antipatica e la sentivano urlare contro i gatti. Non si era mai vista in paese, e quando le ricerche cominciarono nessuno sapeva più dove aveva sentito cosa, e chi avesse raccontato come, e tutti, alla fine, confessarono di non averla mai vista di persona. Le urla, invece, furono confermate da tutti: minacciava i gatti con grida che riempivano la contea come campane a festa innaturali e tempestose. 

Il giornale uscì in un numero straordinario dopo il primo articolo, e al settimo giorno, quando il paese si svegliò in una fitta nebbia, la notizia aveva assunto drammatici sviluppi.
Ritrovati i vestiti di Miss Alabarda Newll!
La prima pagina passava inorridita di mano in mano, tra bisbigli turbati. Dopo altri sette giorni la ricerca si era esaurita, lasciando il brillante quotidiano nel più totale nulla. Fino a una mattina di inverno, quando qualcosa scosse la tranquillità di un paese che non aveva niente da nascondere.
Ritrovate dita umane, si pensa alla signorina Alabarda Newll!
Le dita, rosicchiate fino all’osso, giacevano nel giardino della Villa tra le foglie marce e un nevischio fetido, rinvennero grazie al fiuto di cani inviati sul luogo come ultima speranza. Allo stesso modo e nello stesso luogo fu trovata anche la camicetta rosa triste, inconfondibile, riconosciuta perché tutti avevano la foto della signorina impressa nella mente, ma Miss Newll non era mai stata vista con altri capi addosso. Non esistevano altre foto di lei. E, interrogati, gli abitanti del paese risposero ciascuno a proprio modo: chi ricordava il suo fare sprezzante e fastidioso, chi descriveva con accuratezza i bottoni di madreperla della celebre camicetta. Ma a quel punto divenne tutto una grande confusione, e nessuno fu ritenuto affidabile, nessuno a eccezione di una sola persona: Lorenza. Il giornale riportava un articolo dettagliato sull’interrogatorio che confermava che nemmeno la stessa Lorenza aveva mai visto Miss Alabarda Newll. I proprietari, così raccontava il testo, avevano affittato la Villa alla signorina, ma non era loro parente, e non l’avevano mai incontrata. A Lorenza era stato riferito di non andare per i sette giorni della permanenza della signorina, perché ai gatti ci avrebbe pensato lei: era una clausola del contratto di affitto. Lorenza, continuava l’articolo, chiese di potere andare a controllare i gatti, ma le fu proibito: la zona era una probabile scena di un probabile crimine. Lorenza insistette tanto da intenerire le forze dell’ordine e alla fine, scortata da agenti, riuscì ad accedere alla proprietà. Fu allora che trovarono anche il sangue.
L’articolo si interrompeva in quel punto, proprio come una storia del terrore, ma per una pubblicità, dovuta all’ormai incessante richiesta di visibilità sul famoso giornale. Due facciate dopo, l’articolo ricominciava con le prime righe così in neretto da far strabuzzare gli occhi:
Il sangue, ormai seccato, appariva spalmato come se qualcuno avesse cercato di pulire, spargendolo invece ovunque. Come se qualcuno lo avesse calpestato.
Il caso fu affidato allo sceriffo della più importante città della contea. Il giornale pubblicò una foto, ancora a colori: Lo sceriffo, serio nella sua divisa davanti alla Villa. Tutto poteva sembrare normale. Ma una scena minuscola, in secondo piano, attirò l’attenzione del paese, che invece, conosceva ogni dettaglio: Ultimo, lo sguardo fiero, si leccava le zampe, placido. Il gatto era così piccolo nella foto che poteva tranquillamente non essere notato. Ma chiunque, in paese, perse un battito cardiaco dallo spavento. Il gatto, beato, si puliva il manto candido sporco di sangue, in un rosso meravigliosamente acceso nella foto. Ovviamente, nessuno disse niente. Tutti lo videro, e la questione terminò così, come se tutti fossero, finalmente, stati consolati.  Contenti, anzi.
Se avete domande, vi invito a verificare i fatti di persona, ed è il mio miglior consiglio: io vi racconto quello che ho visto. Io. Ma io, io sono solo la copia numero 666 del giornale della contea. 

© Racconto di Laura Ramieri | Illustrazione di Elena Lazzati | Editing di Paolo Perlini


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