Scritto da Greta Rocco -
- Illustrato da Elena Santacesaria
L’ultima sigaretta, per davvero.
Prima di conoscerti, ho passato ventisette anni senza toccare una sigaretta. Non ho provato persino quando ho attraversato la fase che ogni quindicenne vive, quella in cui ti senti potente mentre ti rechi a un inesistente pigiama party, consapevole di averla fatta ai tuoi; o quando indossi una gonna troppo corta per tuo papà ma troppo lunga per le tue amiche; o ancora, quando esci dal supermercato stringendo una bottiglia di vodka, con il documento falso in mano.
Persino durante l’autogestione - il momento che sovverte i rapporti di potere dell’istituzione scolastica - con un secco no grazie rifiutavo qualsiasi sigaretta, preferendo studiare con quali dita i miei amici tenevano il filtro, quanto trattenevano il fumo prima di espirare, o la luce che i loro occhi ribelli irradiavano.
Non fumavo, ma non per nobili motivi. La mia educazione è stata tutt’altro che rigida, nessuna perdita in famiglia mi ha segnato, e a quindici anni la morte sembrava qualcosa di troppo lontano per preoccuparmi. Lo facevo semplicemente per sentirmi diversa, come atto di resistenza verso un mondo che fumava per ritagliarsi del tempo dal tempo: i miei professori, per colmare gli attimi tra una lezione e un’altra; i miei genitori, per sospendere quelli tra le liti; e infine i miei amici, per congelare la loro adolescenza. Poi, a infittire la coltre di fumo ci hanno pensato Mario, il mio primo ragazzo, i colleghi universitari, quelli del lavoro, e infine Giorgio, con cui ho pensato persino di sposarmi.
Poi, una sera di giugno, arrivi tu, con il cappotto di cachemire impregnato di fumo, il pacchetto di Chesterfield che si intravede dalla tasca foderata, e quella fessura tra gli incisivi superiori che vorrei colmare con le labbra. Fuori da quel locale, mentre rifletto su quanto la luna stia bene nel suo tempo inesistente, arrivi e mi chiedi come mi chiamo. Mentre parli, penso a quanto quella stessa luna sia sfortunata, troppo lontana per vedere i riccioli scomposti dalla brezza, per riflettersi nelle pupille ambrate, per sentire il mio nome nascere e morire sulla tua lingua, all’infinito.
«Quindi ti piace scrivere?» mi dici con il filtro stretto tra gli incisivi.
«Esatto».
«E di cosa scrivi?», l’estremità della sigaretta prende a bruciare e mi ricordo della legna che scoppiettava nel camino, quando papà lo accendeva.
«Boh, di me, di tutti, di nessuno». Mi offri una sigaretta e dimentico che non fumo, che non ho mai fumato, che non so come si faccia.
«Che sono un po’ la stessa cosa». Aspiro quelle parole e mi bruciano in gola più del fumo che si insinua tra le labbra. Vomito cerchi vaporosi e tu sogghigni dietro una cortina grigia. D’altronde, non posso aspettarmi altro: è la mia prima volta. Così, persa nel tempo, nel modo in cui lo modelli rallentandolo con il tuo sorriso, la tua voce, la tua Chesterfield, fumo la mia prima sigaretta. E mi innamoro per davvero, per la prima volta.
Amo quando si susseguono tante Chesterfield – rigorosamente un tuo regalo - mentre parliamo di te, di me, di tutti, di nessuno; quando provi a interpretare i miei testi attraverso la lente della mia vita: non vuoi mai sapere se ci hai azzeccato, lo capisci da come i miei occhi si scuriscono, le mani giocano coi capelli e la lingua lambisce le labbra. Amo il tuo desiderio di scompormi come un puzzle, per riassemblarmi e dare un senso alle tessere smarrite tra le parole. Amo frantumarmi come porcellana quando mi sfiori, e sbriciolarmi sotto il tuo tocco per essere ricostruita dalla tua bocca. E quando mi rompo per davvero, non ho paura perché so che tu riordineresti i pezzi, e tutto tornerebbe come prima. Ma più di qualsiasi cosa, amo quando mi racconti cosa vuoi essere e non fare, come vuoi fonderti nel tempo e non fermarlo, appropriarti degli istanti e bruciare assieme ad essi come una Chesterfield appena accesa.
Diventi tu la mia sigaretta, ciò che congela gli attimi tra una metro e un’altra, tra un cliente e quello dopo, tra le lamentele di mamma e quelle di papà. E quando mi lasci, mentre fumiamo la nostra solita Chesterfield, capisco di non poter riordinare il tuo puzzle, e l’orologio del tempo mi piomba addosso frantumandomi. I miei pezzi spazzati via come cenere.
È l’ultima Chesterfield della mia vita, ma non la mia ultima sigaretta. Questa sei tu, l’ultima volta in cui aspiro il tuo respiro, il tuo ti amo. Il tempo riprende a correre senza sosta e io gli sto sempre al passo, fermandomi solo per cercarti nei mozziconi che evito di spiaccicare.
© Un racconto di Greta Rocco - Illustrato da Elena Santacesaria - Editing di Maria Teresa Renzi-Sepe
L'ultima sigaretta, per davvero. | Racconto | Indigeribili
Ti è piaciuto questo racconto indigeribile? Dacci una mano! Il tuo aiuto ci consente di mantenere le spese di questa piattaforma e continuare a diffondere l'arte.
L'associazione si sostiene senza pubblicità ma soltanto con le tessere associative e l'impegno dei soci.
I Link verso i canali di vendita sono inseriti al solo scopo di agevolare gli utenti all'acquisto.
Sottoscrivi la tessera associativa con una piccola donazione su PAYPAL
Oppure puoi offrirci un caffè.