Heartware | Racconti Indigeribili

Heartware | Racconti Indigeribili



© illustrazione di Arianna Lazzeri @lonelymagpies


HEARTWARE

La sua mente è un vecchio televisore non sintonizzato, un indistinto brulicare, come la città intorno che puzza di grigio. Tensione elettrica. Scintille. Lo sfrigolio di un uovo che si rapprende su un tegamino: è la sua testa che frigge. Improvvise punte di dolore alle estremità, poi come un tendersi di spessi cavi che dipartono da ogni vertebra; sentire il bisogno di flettersi all’indietro fino a spezzarsi; mascelle serrate e stridere di denti come sotto una mola.

In quattro sulla terrazza del dott. Rise a bruciarsi le ossa sotto l’azzurro acquamarina del cielo di luglio. In sottofondo il rumore di piccolo dente spezzato del ghiaccio che si scioglie nel frigo portatile.

 - Chi è quella testa di cazzo che l’ha lasciato di nuovo aperto? Ora la birra è calda!

- Non rompere, N91, tanto la bevi lo stesso.

- Certo che la bevo! Non ho certo intenzione di riportarla di sotto!

Panni stesi, abbaglianti nel sole, sventolano tutt’intorno impiccati ai fili di ogni terrazza, li guardano dall’alto, frenetici fantasmi, bianchi come i gabbiani che da qualche anno non si vedono più.

- Stai bruciando, Stan. Stan, stai bruciando. STAI BRUCIANDO!

Le grosse mani di N91 non sono fatte per lavori di precisione. Strappa i fili dalle ventose provocandosi ustioni ai polpastrelli, grugnisce ma continua imperterrito. “Dovevi terminare il programma prima di scollegarmi”. Rimane un pensiero. La lingua riarsa rifiuta di abbandonare il palato. I muscoli vengono rilasciati tutti insieme, improvvisamente. Disattivato l’impulso, il corpo sembra sciogliersi sulla sdraio. Tornare a respirare fa quasi male.

- Dovevi terminare il program...

- Non rompere, devi smetterla con questa roba.

Si guarda le dita bruciate con una smorfia. Gira le spalle, apre il frigo, pesca a caso una lattina e tenendo la punta delle dita sull’alluminio gelido comincia a tracannare. La posizione innaturale delle mani fa scivolare più gocce del dovuto dalle labbra alla scritta “Vyper Army” della maglietta, ma non è il caso di farglielo notare. Col palmo della mano comincia a sfregarsi metodicamente la base del collo. Nessuno capisce ancora se quella cicatrice lo tormenti realmente o se non sia invece qualche brandello di interfaccia residua a tormentare lui. In fondo Rise ha fatto proprio un buon lavoro. Rimuovere l’impianto neuro-sintetico d’assalto a questa specie di golem multi accessoriato da sparatutto d’elite e rigenerarlo poteva sembrare davvero una pessima idea.

Al momento dell’intervento il sistema operativo di N91 era fuori produzione già da qualche anno, da quando era stato dichiarato una “incontrollabile minaccia per la comunità” e la sua missione abortita per evitare incidenti diplomatici. In pratica non esisteva più, il suo codice di servizio era stato cancellato dagli archivi dell’esercito. Inesistente, come la memoria di Stan, compromessa  dalle frequenti formattazioni a cui il suo cervello veniva sottoposto alla fine di ogni interrogatorio presso la Centrale D’Intelligenza. Possedeva un intero database della propria vita, ricordi organizzati in ordine cronologico e in cartelle tematiche, sequenze di dati facilmente aggiornabili e scaricabili, i ricordi più intimi e preziosi masterizzati singolarmente su supporti criptati a scansione oculare. Si chiamava Heartware.

Dopo l’intervento avevano atteso ogni notte, per anni, che la marina bussasse alla porta per rapire e terminare N91. Poi, pian piano, era diventato uno di loro. Aveva conosciuto lui Helena e l’aveva portata lì. 

Era l’estate del 2194. E lei voleva morire. L’aveva trovata riversa nei putridi bagni della stazione del porto che ancora respirava. Aveva indosso una tuta in latex strappata sulle ginocchia e sui gomiti: doveva essere un corriere o qualcosa di simile; dal cappuccio quasi sfilato spuntavano ciocche di capelli lunghi e neri, incollati di vomito, gli occhi giravano nelle orbite senza controllo e la sua testa continuava a sbattere ritmicamente sul pavimento in perpetue ondate di contrazioni muscolari. L’aveva sollevata di peso caricandosela sulle spalle con il movimento di un solo braccio. Era spaventosamente magra, come tutti quelli come lei. Le grandi aziende li preferiscono così: individui ipercinetici che non hanno quasi mai bisogno di mangiare e di dormire, capaci di lavorare ininterrottamente per tre giorni grazie a qualche “viaggio artificiale”. Alcuni di loro stramazzano al suolo in servizio, improvvisamente, soprattutto quelli che hanno mantenuto un cuore biologico, ma è consuetudine che siano le stesse aziende per cui lavorano a finanziare l’intervento di sostituzione con qualcosa di più resistente: pompe idrauliche con sigilli in titanio o meglio ancora interi impianti in carbonio, più leggeri, per non compromettere le prestazioni. Quando l’aveva portata in casa non c’era ancora nessuno: Rise sarà stato sicuramente quasi incosciente riverso sul cemento nella zona bagni di uno di questi, tra pozzanghere di birra e piscio; Stan era ancora in stato di fermo presso la Stazione Di Intelligenza Centrale, quindi probabilmente stava sopportando da ore inutili torture che sarebbero state poi cancellate dalla sua memoria. 

L’aveva stesa sul tavolo della cucina rovesciando a terra senza tante cerimonie scatolette vuote di cibo liofilizzato e degli abituali take away delle ultime settimane. Sembrava respirasse ancora ma più flebilmente, i tremori erano diventati una specie di rantolio e gli occhi erano ormai fissi, le pupille come punte di spilli, quasi invisibili seppur al centro di un’iride così chiara da sembrare quasi incolore. Forse era questione di pochi istanti. Continuava a strofinarsi la base del cranio quasi fosse una lampada magica dalla quale sarebbe potuto uscire un genio, uno di quelli delle vecchie favole, in grado di esaudire i desideri. L’unica possibilità rimaneva azionare il Rigeneratore Neuronale. Ed era quasi certo che funzionasse, l’avevano provato su di lui, una volta.

Il cielo sopra Babilonia2  era di uno spesso color ocra, nonostante la notte naturale fosse in pieno corso: era possibile ricrearla artificialmente ma era un procedimento che si riservava solo ad occasioni molto speciali. Cosa fosse il buio reale, cosa fossero le stelle, nessuno lo ricordava più. Il sole lasciava posto alla luce fredda degli abbaglianti ologrammi pubblicitari sospesi sopra gli edifici più alti e ai 90 secondi di sketch tridimensionali che si ripetevano in loop presso le fermate della metro o davanti ai centri divertimenti. La gente era costretta ad attraversarli quotidianamente: dovevano entrare a far parte della quotidianità e, dopotutto, non erano meno reali della vita stessa.

Il Rigeneratore avrebbe avuto bisogno di qualche intervento di manutenzione ma poteva solo sperare andasse bene lo stesso. Sembrava un enorme uovo di dinosauro, sempre fosse esistito un dinosauro di titanio, controllato remotamente da un display su cui visualizzare i parametri vitali del paziente. Al centro c’era un pulsante emanante un’intensa luce azzurra. Quando l’aveva collegata la ragazza sembrava quasi immersa in uno stato di trance. Il plug si era inserito dietro l’orecchio senza incontrare resistenza alcuna. 

Tornati i ragazzi trovarono riversa sul  lettino dello studio una ragazza incosciente, pallida, i vestiti strappati. Un corriere, con ogni probabilità. 

- E questa dove l’hai trovata?

- Credo di averla uccisa.

I due ragazzi avevano distolto lo sguardo. 

Approfittando dell’imbarazzato silenzio calato tra loro,  Rise si era avvicinato alla macchina, sfiorando i comandi violati con premura quasi paterna, quando un sospiro aveva distolto la sua attenzione dalle cromature e  si era trovato di fronte a due enormi occhi quasi incolori dai riverberi metallici che lo fissavano.

Helena era la prima ragazza a legarsi alla Ultra-Resistenza. E probabilmente sarebbe rimasta l’unica. Trasportava file della LOGINTECH protetti da massima riservatezza che finivano puntualmente nei server dell’UR. Ciò che si considerava interessante veniva condiviso con le altre celle di sommovimento. Rise la elesse cavia preferenziale per i suoi studi sul potenziamento bionico, alla quale lei si sottoponeva con pazienza . Ma ciò che divenne chiaro a tutti in breve tempo era la sua eccellenza nel controllo emozionale.. Era capace di esplorare la mente senza allertare firewall e sistemi anti-intrusione, sapeva scavare nel ricordo senza interferire, riusciva a scandagliare la psiche fin nei suoi recessi più intimi, generava stati emotivi e reazioni istintive come fossero naturali. Era un grande potere. Anche troppo grande. Essere uno tra i più capaci persuasori subliminali che il pianeta avesse mai assemblato doveva costarle un’enorme sofferenza.

Di fatto era silenziosa, straordinariamente sensibile a qualunque stimolo esterno; capitava scoppiasse in lacrime apparentemente senza motivo ma molto più spesso era chiusa in una specie di guscio catatonico. Dopo poco fecero tutti l’abitudine a quella presenza capace di restare immobile a fissare le luci della notte con una mano appoggiata al vetro, aspettando si disegnassero i piccoli soffici punti bianchi al calore di ogni polpastrello per poi guardarli sparire lentamente. Nessuno conosceva la sua storia, la sua famiglia o se ne avesse mai avuta una. Erano abituati a prendersi così, a pensare di vivere ed aver vissuto sempre per ogni singolo istante, storie randagie che casualmente ma necessariamente si erano incrociate per mischiare il proprio sangue e le proprie speranze e che un giorno si sarebbero allontanate fino a non vedersi più, perdendo le proprie tracce esattamente come cinque leggere tracce di condensa che si dissolvono lentamente su un vetro.

Finché una notte N91 l’aveva trovata seduta sul divano, tra le briciole di pizza e le lattine vuote. Non aveva aperto bocca ma era sicuro di aver sentito parole, indistinte ma chiarissime. L’aveva guardata. Non sembrava neppure avesse notato la sua presenza ma di nuovo quella voce, come un ritorno d’eco. Non capiva cosa dicesse eppure un eccesso di nausea cominciò a torturarlo. Quella voce, ancora e ancora. E la necessità di esaudire i suoi desideri, di eseguire gli ordini, come tanti altri e orribili ai quali non aveva potuto sottrarsi. No! Lui non era più quello. Rise l’aveva cambiato. L’aveva salvato. Era un amico. Non avrebbe più fatto del male a nessuno. Era umano, come loro. Fatto di carne e sangue, come lei, che aveva un corpo così gracile e fragile che sembrava sparire tra le sue enormi mani. Riuscivano a toccarsi pollice e medio stretti intorno al suo collo. Non poteva credere che lei gli stesse chiedendo di ucciderla. Non poteva credere di non potersi opporre. Quegli enormi occhi grigi erano a pochi centimetri dai suoi, uno scricchiolio sinistro e rimasero a fissarlo. Immobili.

N91 sente le gocce di birra inzuppargli la maglietta e su di sé lo sguardo prostrato dell’amico. Vorrebbe potergli urlare che è fortunato, lui, a cancellare ogni ricordo col tasto DEL, che lo invidia, lo invidia da morire.

- C’era qualcun altro con noi, eppure non riesco a ricordare chi.

- Forse perché non c’è nulla da ricordare. Amico, questa roba ti sta facendo impazzire? Te ne rendi conto? Non dormi da mesi.

Stan vorrebbe rispondere che quella strana sensazione di qualcosa che manchi è strana, così come l’ordine dei suoi backup interrotto per alcuni mesi. 

 - Forse  hai ragione, è meglio lasciar perdere. Vado a coricarmi. Se vedi Rise prima di me chiedigli se può farmi una scansione di Heartware, potrebbe esserci un virus …

Quando la sua spina dorsale percepisce il materasso è come se percepisse d’un tratto ogni singola vertebra, mentre la sua mascella si blocca in un urlo silenzioso che lo fa rimanere senza fiato per svariati secondi. Dio, è davvero così che si dorme? Gli sembra impossibile trovare una posizione confortevole. Qualcosa lo infastidisce. Le sue dita, scivolando sotto il materasso, incontrano un oggetto. Sul display scorre un nome femminile che non sembra dirgli niente. 

 

 
Scritto da Erika Casciello
Illustrato da Arianna Lazzeri

 

Heartware | Racconto | Indigeribili





Privacy Policy