ZeroCalcare - A babbo morto (Bao publishing)
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Secondo il sentire comune il Natale è roba da poppanti, un po’ come i fumetti. Tuttavia a Natale, specialmente a Natale, sono sopratutto le persone adulte a pretendere tutto e subito, tutto adesso, tutto quello che voglio - quando lo voglio - immediatamente. Ci voleva proprio un fumetto per parlare di come le persone adulte si comportino da poppanti, quando il capitalismo e il Natale si incontrano.
Zerocalcare immagina un mondo in cui Babbo Natale muore, e con lui il suo impero costruito sullo sfruttamento dei folletti e delle befane rider. Proteste e scontri violenti si susseguono, e la narrazione consumista dipinge chi pretende diritti fondamentali come fonte di violenza e pericolo, da isolare e stigmatizzare. I folletti sono cattivi, devono migrare, e devono integrarsi con un sistema che li annienta. Un sistema che prospera sull’illusione che tanti folletti e befane infaticabili, entità nascoste in grado di risparmiarci ogni incombenza - perché anche noi viviamo nello stesso mondo capitalista che ci affatica e ci sfrutta sussurrandoci che a poco prezzo potremo avvantaggiarci sfruttando altre persone sotto di noi - ci servano con il sorriso pretendendo nulla in cambio. I folletti e le befane che rifiutano di consegnarci doni in sole ** ore vogliono sabotare la magia del Natale, distruggere l’innocenza di chi scrive la letterina. Vanno repressi, perché se ci fermassimo ad ascoltare le loro istanze ci renderemmo conto di quanto siamo invisibili e sacrificabili anche noi.
Donatella Di Pietrantonio - Borgo Sud (Einaudi)
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Non sentivo la necessità di un seguito de “L’Arminuta”, il cui finale sospeso è tra le pagine più perfette che abbia mai letto, e lo dico io che odio rimanere in sospeso. Non nutrivo il bisogno di sapere cosa sarebbe successo, tra quelle due sorelle unite da una biologia tornata a bussare improvvisamente alla porta, senza chiedere permesso. Ma il seguito de “l’Arminuta” è comunque arrivato, proprio come quei legami di sangue di cui narra l’autrice, che non bussano ma si impongono intrecciandosi con le circostanze. Di Pietrantonio è pienamente padrona della sua storia, narratrice precisa e prepotente, tanto da decidere che non è finita finché non è finita. Eccoci quindi a Borgo Sud, Pescara, dove Adriana mette delle radici strane e flessibili, che pure quando si tuffa lontano la riportano indietro con uno schiocco elastico, al porto. Diventa madre, cerca rifugio dalla sorella Arminuta che si è sposata bene con un uomo diviso e tormentato. Adriana ruba, fugge, si pente e rivendica, si offre, viene maledetta dalla genitrice al paese. Adriana è il volto di questo romanzo che come lei impone il suo ritmo, una scrittura che non lascia spazio a fraintendimenti. Di Pietrantonio è così, definitiva. Il suo è un raccontare scolpito al millimetro, ma se decide che c’è ancora qualcosa da aggiungere, una valanga infrange la pietra da lei stessa creata.
Charlotte Wood - Il weekend (NN editore)
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Viene raccontato un modo diverso dal solito di essere amiche, in questo breve romanzo che si svolge nell’arco temporale di un fine settimana. Quando ci si incontra tra donne già adulte, contrariamente alla consuetudine che vede gli affetti che durano una vita sbocciare durante l’infanzia e l’adolescenza. “I trent’anni erano l’età più pericolosa per gli innamoramenti (...) non erano gli amanti ma le amiche - persone coraggiose, brillanti - quelle che desideravi, corteggiandole con cene, regali e weekend fuori porta”. Wendy, scrittrice, Jude, ristoratrice, e Adele, attrice (tanto diverse ma tutte professioniste del creare) si sono incontrate così, e hanno raggiunto i settanta per vedere la dipartita della quarta di loro, Sylvie, con la promessa di impegnare un weekend di Natale sgomberando la sua casa delle vacanze prima della vendita. Nell’arco di poche ore appare evidente come la figura di Sylvie fungesse da collante e quanto le tre donne siano ormai insofferenti le une alle altre, mentre riordinano un luogo pieno di ricordi nella torrida afa australiana in compagnia di Finn, il cane infermo anziano e sofferente che Wendy non trova la forza di far addormentare per sempre, e nei cui occhi ognuna di loro pensa di scorgere Sylvie. La distanza abissale si alterna all’intimità, un avvicendamento che solo le amicizie di una vita conoscono, e tramite la guida imponderabile di Finn le tre donne, dopo una nottata che cambierà in modi diversi tante vite, rinascono in un abbandono che non può essere descritto meglio di quanto abbia fatto la stessa Charlotte Wood. Non la solita storia di sorellanza.
Orna Donath - Pentirsi di essere madri - storie di donne che tornerebbero indietro - sociologia di un tabù (Bollati Boringhieri editore)
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Il pentimento materno rappresenta l’innominabile, in qualunque tipo di cultura. Forse perché ci mettiamo nei panni di una creatura non voluta, certo, immaginando terribili ingiustizie e nefandezze, ma vale la pena scavare più a fondo. Se i femminismi ci hanno liberate dalla maternità intesa come destino biologico ineluttabile, rendendola semplicemente una scelta, è stato trascurato il fatto che delle scelte ci si può anche pentire. Pure della maternità, ma di questo rimpianto non è permesso parlare. Ci si può pentire di non essere diventate madri, ma il contrario è inaudito. I motivi di questa reticenza sono indagati, tramite accurata ricerca, in un saggio intelligente e profondo basato su numerose interviste a madri pentite, scritto con lucidità e delicatezza. Perché è vero che l’argomento è delicato, in quanto la maternità - come spiega Donath - è ancora intesa come un ruolo, e non come una relazione, e i ruoli prevedono una rigida adesione all’etichetta. Il ruolo della madre più di tutti, e chi non rispetta l’etichetta viene punita. Ho trovato notevole il fatto che in queste pagine l’ambivalenza, sentimento comune a molte madri non pentite, venga scisso dal rimpianto. Ambivalenza e rimpianto sono due cose diverse, e se normalizziamo la prima aiuteremo a venire allo scoperto il secondo, distruggendo il mito su cui si fonda la civiltà patriarcale. Non esiste la madre, esistono le madri e non condividono un’esperienza univoca e universale. Il grido di dolore inascoltato delle madri pentite è la conseguenza di una cultura che non contempla nessuno spazio, intimo o sociale, per questo tipo di elaborazione.
La preziosa alleanza tra donne child free e madri, osteggiata dal patriarcato che desidera metterci le une contro le altre nella sempiterna dicotomia “santa e puttana”, dipende dallo smantellamento di queste bugie.
Fabrizio Acanfora - Eccentrico - Autismo e Asperger in un saggio autobiografico (effequ)
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Questa è una minirece molto personale, perché anche io, come l’autore, sono stata diagnosticata autistica in età adulta, dando finalmente una spiegazione a difficoltà e peculiarità vissute sin da piccola come difetto di fabbrica, caratteristiche per cui provare rabbia e vergogna. E queste pagine mi sono piaciute anche perché confermano una verità troppo spesso inascoltata: le persone autistiche non sono tutte uguali. Io e l’autore non potremmo essere due persone più diverse, per gusti ed esperienze. Quel che ci accomuna sta tutto nei dettagli, fondamentali. Dettagli che variano dal “troppo” al “troppo poco”, come quando presti “troppa poca” attenzione a ciò che non ti interessa, o quando te la prendi “troppo” perché dalla strada arrivano rumori insopportabili. Dietro a quei “troppo” si trova il vastissimo spettro autistico. I pregiudizi che circondano questo spettro contribuiscono al grave ritardo nelle diagnosi, che affligge uomini ma sopratutto donne e persone non binarie. Viviamo decenni interi della nostra vita inconsapevoli di questa condizione, senza poter beneficiare del supporto necessario. Stiamo però cominciando a raccontare le nostre storie, sottraendo il microfono a sedicenti esperti che non sperimentano questa condizione in prima persona. Fabrizio Acanfora ha dato un importante contributo, che potrà essere di inestimabile valore per chi vorrà aprire la mente, capire meglio le persone autistiche che ha incontrato o incontrerà nella propria vita, o semplicemente ricordarsi che la norma è un concetto estremamente relativo, mobile, e di cui forse dovremmo cominciare a fare a meno, anche quando parliamo di come funzionano i nostri cervelli.
Amy Erdman Farrell - Fat Shame - lo stigma del corpo grasso (Tlon)
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Dicembre era il mese giusto per leggere Fat Shame. Il mese delle diet talks mixate alle fat jokes come guarnizione ai pranzi di Natale. L’appetito per ciò che percepiamo come un eccesso viene associato ad un corpo ben preciso, che viene anch’esso associato ad un preciso tipo di persona: incivile. Ma quando abbiamo cominciato a dividere i corpi in questo modo? Ad associare alla civiltà dei costumi una figura fisica in contrapposizione ad un’altra, quella grassa e dunque incivile? Lo hanno fatto sia le suffragette che i loro avversari, illustrandosi rispettivamente con fattezze grasse e sgraziate, indicative di avidità e incapacità di controllare le pulsioni. Stupirà constatare come il disprezzo per il corpo grasso sia nato intersecandosi con il disprezzo per tutto ciò che non era bianco e conforme al modello imperialista occidentale, ma Fat Shame è frutto di una scrupolosa ricerca decennale, che mette in luce ad esempio come il mito della magrezza sia stato influenzato dal puritanesimo calvinista statunitense, e di come questo modello di controllo si sia adattato efficacemente ai ritmi richiesti dal nascente consumismo capitalista, in cui sveltezza e snellezza performativa, simboli di slancio ed efficienza, sono presto diventate l’uniforme del successo. Scopriamo poi come le persone con corpi non conformi si siano organizzate e ribellate a discriminazioni e ingiustizie. Firmano la prefazione Belle di Faccia, unica realtà italiana ad aver portato le istanze della fat acceptance nell’agenda politica femminista e senza il cui lavoro, probabilmente, Fat Shame non sarebbe mai arrivato alla nostra attenzione.
Louisa May Alcott - Storie di Natale - Racconti inediti (edizioni clichy)
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Per chi come me è cresciuta con Piccole Donne, che pretendevo di leggere a lume di candela per meglio immedesimarmi nell’atmosfera rischiando più volte di appiccare un incendio in casa, immaginarmi nei panni della nipotina alla quale la grande autrice leggeva, prima di andare a dormire, le fiabe raccolte in questo volume inedito, è una vera e propria coccola di Natale. Fiabe ricche di filastrocche e ingenuità ma con un forte intento educativo e volontà di inculcare un concetto di carità - in uno stile oggi sicuramente un po’ cringe - e attenzione per chi ha più bisogno, contemporaneamente alla forza di volontà necessaria a badare al sodo resistendo alla tentazione dell’ozio e della frivolezza: un po’ come se Jo March facesse la predica a sua sorella Amy. Incontriamo così una serie di piccoli protagonisti umani e non umani - perché Alcott aveva a cuore anche i diritti di questi ultimi - che si annoiano, si abbuffano di caramelle, evitano le faccende domestiche e tiranneggiano le tate, salvo poi tirarsi fuori dai guai sfoderando un grande cuore. Ci sono anche esempi virtuosi, come le sorelline che influenzano un’intera comunità abbeverando agnellini ammassati nei treni merci. Ma che ci faccia una predica o una carezza, l’augurio natalizio dedicatoci da “zia Jo” è presto detto: “Non smettere mai di credere alle care, vecchie storie, anche quando arriverai a capire che sono soltanto la piacevole ombra di un’amabile verità.”
© Giulia Gazzo