So long, GIRLS. It's time to grow.

So long, GIRLS. It's time to grow.
So long, GIRLS. It's time to grow.

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Scrivere la recensione della stagione conclusiva di “Girls” non è una passeggiata: "Girls" non è una serie come tutte le altre, a partire dal rapporto di amore-odio continuo e costante, con momenti durante i quali si vorrebbe mollare tutto, alternati ad altri classificabili come “Lena Dunham è un genio e io la amo follemente”.
Inutile dire che l’articolo contiene SPOILER per chi non ha seguito lo svolgimento delle stagioni.

C'è chi la definisce la “Sex & The City” degli anni 2010, ma la serie è veramente molto di più.
A differenza della patinata e pop“Sex&The City”, Girls è più cruda e realistica. Il suo punto di forza assoluto sono le protagoniste che potrebbero esistere in qualunque grande e piccola città, che non hanno idea di quello che stanno facendo ma che sanno perfettamente come fingere di essere a loro agio nel mondo. Sono personaggi smarriti, si fanno aiutare dai genitori nonostante cerchino l’indipendenza completa, tentano di fare mille lavori pur di trovare quello giusto, si ritrovano ad affrontare una città/realtà dove la solitudine è ad ogni angolo di strada, ma soprattutto si rendono conto che avere un obiettivo nella vita o sapere cosa si vorrà fare da grande, non sempre è abbastanza. Di mezzo ci si mettono le relazioni, una società alienante e la strisciante paura di non avere più tempo per realizzarsi come esseri umani.

Non voglio stare a dilungarmi sul contenuto delle precedenti 5 stagioni, perché la vera chicca è proprio quest’ultima che chiude definitivamente i cerchi narrativi dei personaggi che abbiamo imparato ad amare e/o a odiare dall’ormai lontano 2012.
Lena Dunham scrive ognuno dei 10 episodi con lucidità e fermezza, creando dei piccoli gioielli narrativi in grado di dare un addio un po' amaro ma soddisfacente al gruppo di amiche che negli anni si è distaccato sempre di più:
Marnie cerca ancora affannosamente il suo percorso non solo lavorativo, trovando nell'episodio finale un confronto con la figura materna che le è sempre mancata, regalandole un momento di empatia e accoglienza che non aveva mai provato prima.
Jessa è ancora persa dentro di sé, però finalmente prova amore puro per un altro essere umano (Adam) per la prima volta ed è teneramente immersa in questo sentimento con tutto quello che ne consegue
Shoshanna, forse la più coraggiosa di tutte, quella sulla quale non si sarebbero puntati 5 euro e che invece è l'unica caparbia, tenace, realista e dolorosamente sincera che cresce notevolmente lungo tutto l'arco narrativo della serie e che alla fine trova il suo spazio in una relazione nella quale non deve fingere di essere qualcuno che non è.
Cosa dire di Hannah? Beh, lei ha un colpo di scena pazzesco e diventa madre. Proprio lei, l'assurda Hannah Horvath, l'immatura e spericolata Hannah decide di smettere di essere egoista (oppure no?) e tiene il bambino frutto di una storia estiva con un istruttore di surf che non rivedrà mai più.

Un momento di maturità inaspettato per un personaggio che fra tutte era quella più con la testa piantata ben in fondo al proprio culo (scusate il francese) e per questo la più irritante.
Su di lei è incentrato tutto l'ultimo episodio, dando così alla serie due finali entrambi liberatori: durante il nono episodio le quattro amiche si riuniscono ma senza un reale lieto fine fra di loro, se non per una Hannah commossa nel vederle comunque insieme e felici, ognuna a proprio modo. Il decimo episodio vede la neo-mamma alla prese con un figlio che rifiuta il suo seno e riattiva tutte le sue paure e paranoie, con Marnie che la aiuta per non dover pensare ai propri problemi e la madre di Hannah che arriva per dire alla figlia di togliersi la proverbiale testa dal culo (scusate di nuovo) e di rendersi conto della realtà. Generazioni a confronto, adolescenze che finiscono, madri che abbracciano il loro ruolo e una salvifica poppata finale che libererà la nostra protagonista da qualunque blocco, letterale e non.
Alcune situazioni hanno bisogno di tempo per accadere, cara Girl per eccellenza: grazie per averci raccontato una dimensione femminile accessibile e contemporanea, cruda, a volte grezza, ma pur sempre ben piantata in questi anni di confusione e tentativi di realizzazione personale, riusciti o meno che siano.

E il maschile dov'è? Avete ragione a pensarlo, nonostante la serie si chiami “Girls”, Lena Dunham è riuscita a creare tre personaggi maschili interessanti e sfaccettati: Adam, Elija e Ray.
Tutti e tre meriterebbero una menzione d'onore e un articolo specifico a testa, poiché anche loro – parallelamente alle ragazze – vivono una crisi personale, non trovano il loro posto nel mondo e quando pensano di averlo trovato beh, non è così.

E allora vediamo l'imponente Adam avere una intensa relazione con Jessa e scrivere un film sul suo vecchio rapporto con Hannah che lo getta in uno stato catartico e riflessivo durante il quale sembra sconvolgere tutto ma che in realtà gli serve per mettere finalmente le radici.
L’indecifrabile Elija trova la sua strada scoprendo di avere un talento per il canto e la recitazione e diventa il protagonista di uno show di Broadway che (probabilmente) sarà un successo.
L'amicone Ray (il mio preferito fra i tre, sinceramente) era già cresciuto prima degli altri, ma durante questa serie perde il suo amico e capo che muore in casa, sepolto dalla propria solitudine. Ray, sconvolto, decide di raccontarne la vita creando in un documentario su New York e sui suoi abitanti, aiutato anche dal suo nuovo amore, Abigail (l’ex capo di Shoshanna), in un rapporto coinvolgente e finalmente alla pari.

Insomma, ci mancherete Ragazze e Ragazzi della Grande Mela, persi e trovati, rotti e rattoppati, reali come i nostri vicini di casa, come l'amante della sera precedente, come le persone che incontreremo da domani in poi. Ci mancherete e grazie per questa stagione finale, che da sola può essere definita un vero capolavoro.

Per sempre vostra,
una Ragazza qualunque.

© Fiorella Vacirca

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