Girlboss

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Ancora un’altra serie tv targata Netflix, ancora un’altra storia tutta al femminile. "GirlBoss" (disponibile dal 21 aprile sulla piattaforma di streaming più nota al mondo) è la storia di Sophia Amoruso ispirata alla sua omonima autobiografia, pubblicata nel 2014.

Sophia è nota per essere diventata ancora giovanissima la titolare del famoso sito di vendita online Nasty Gal che ha però, per un’infausta coincidenza, dichiarato la bancarotta appena lo scorso novembre.
Ciò non toglie che le vicende legate alla sua ascesa imprenditoriale abbiano dell’incredibile: prima di cominciare a fatturare migliaia di dollari rivendendo abiti vintage, Sophia viveva alla giornata, tra una notifica di sfratto e un furtarello al supermercato, trascinandosi da un posto di lavoro insoddisfacente ad un altro.
La svolta arriverà quando, totalmente al verde, la nostra protagonista sfrutterà il suo fiuto per gli abiti usati per comprarli a poco in mercatini delle pulci e poi rivenderli su Ebay, all’epoca uno dei pochi siti affidabili per la compravendita.
Ma Sophia non ha solamente un grande fiuto in fatto di moda, è soprattutto una ragazza priva di scrupoli, impertinente e sicura di sé, che sgomitando si fa strada tra i professionisti della vendita online, innalzandosi su di un trono dal quale sarà difficile schiodarla.

La serie tv - diretta da Kay Cannon e prodotta da Charlize Theron - sviscera gli anni dei cosiddetti millenials, ovvero tutti quei ragazzi che alle porte del 2000 hanno dovuto aprire gli occhi per rendersi conto che il mondo del lavoro stava cambiando, stava diventando sempre più precario ma allo stesso tempo ricco di nuove opportunità date da internet e dalle sue mille potenzialità.
I ventenni di allora dovevano per forza essere spietati promotori di loro stessi per farsi strada nel mercato elettronico e informatico, abbandonare come Sophia ogni traccia di infantilismo per lasciare spazio unicamente al proprio obiettivo.

La Amoruso, interpretata meravigliosamente da Britt Robertson (energica ai limiti della schizofrenia), risulta spesso antipatica ed egoista. Forse è proprio per questo suo egoismo che, passo dopo passo, è arrivata a creare il suo personale impero finanziario: attraverso i suoi occhi ripercorriamo in 13 episodi la sua crescita inevitabile, dai suoi 23 anni privi di scopo alla scoperta della sua vera vocazione - il commercio - in cui si immerge completamente (è lei che, all’inizio, gira alla ricerca degli abiti nei mercatini dell’usato, sempre lei che li indossa e che li fotografa in modo da renderli più “appetibili”, lei che si occupa di impacchettarli e spedirli) fino ad arrivare al punto di svincolarsi da Ebay per aprire il proprio sito internet personale.
Chi, volente o nolente, la accompagna in questo percorso - amici, genitori, fidanzato - restano sempre all’ombra della sua smania di grandezza e questo non ci permette forse di apprezzarla a pieno dal punto di vista umano. 

Sophia Amoruso e Britt Robertson

Certo, la sua storia può essere sicuramente di ispirazione per tutti quei giovani che prima o poi nella vita si sono ritrovati a pensare, dopo l’ennesima porta chiusa “Cosa farò della mia vita?”, eppure il dipingere Sophia come una donna sicura, così sicura da dimenticarsi persino dei rapporti umani pur di conquistare la sua meta, mi ha fatto storcere il naso.

La nostra Sophia è piena di vita proprio come gli anni che vive, la prima decade degli anni 2000, scintillanti e ferventi, ricreati perfettamente nelle loro tante sfaccettature, dagli abiti su cui ricade spesso l’attenzione, ai club, ai cult che hanno segnato l’epoca (come il finale di "The OC"), passando poi inevitabilmente a spazi virtuali come MySpace, uno dei capisaldi dei millenials, e ai forum, ricreati visivamente come enormi tavole rotonde in mezzo al nulla in cui si alternano i personaggi più improbabili, dal troll alla gattara passando per il tipico esemplare di cinquantenne disagiato su internet che tempesta la conversazione di GIF e LOL.

I colori, in assoluto, sono predominanti: se non si conoscesse il contesto, si potrebbe benissimo pensare di star guardando una serie ambientata negli anni ‘80, anche perché i gusti di Sophia in fatto di moda sono visionari ed eclettici.
La serie ripropone però non soltanto gli aspetti positivi di questi anni tutti tecnologici, ma anche quelli negativi, ovvero come i cellulari e i computer comincino proprio allora ad allontanare le persone le une dalle altre fino a renderle asociali e completamente immerse nel virtuale. Cose che adesso, invece, per noi risultano essere la normalità.
Vedere queste problematiche dall’esterno, con gli occhi di una persona che nel 2000 un cellulare poteva soltanto sognarselo, lascia un retrogusto amaro e straniante.  

Nonostante tutto questo, però, ciò che è certo è che Sophia Amoruso ha preso in mano la sua vita e l’ha guidata coraggiosamente verso il successo.
Come le piace ripetere spesso:

“La vita non è trovare se stessi; la vita è creare se stessi”.

 © Christina Bassi

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