La timidezza dei baffi - di Mara Munerati

La timidezza dei baffi - di Mara Munerati

Il Sergente del Caffè ripensò per un istante alla Donna di Panna.
Si erano amati come forse non si era mai amato nessuno.
In nessuna epoca prima, né in nessuna epoca dopo.
Il destino li aveva divisi subito dopo il loro primo incontro, in un locale del centro.
Quello con la veranda a strisce bianche e azzurre e l’insegna “Armando” accesa solo per metà.
I loro cuori si accorsero l’uno dell’altra davanti a un'anonima tazza di cappuccino.
Il Sergente del Caffè, abito nero e capelli in brillantina, aveva visto la Donna di Panna scendere dalla scalinata in marmo rosa.
I lunghi capelli biondi, la pelle di un bianco perlato.
Scendeva elegante, come la goccia di profumo sul collo di una ragazza.
Si guardava attorno con l’aria di chi ha già visto tutti gli uomini, anche quelli più interessanti, che però appartengono già a qualcun'altra.
Con la mano salutava qualcuno fuori dal locale, mentre con gli occhi continuava a respingere chiunque appoggiasse, con eccitazione, il proprio sguardo su di lei.
Passeggiando e lanciando occhiate tra i tavoli, la Donna di Panna inciampò nel presuntuoso baffo nero di un uomo distinto, che ordinava qualcosa al bancone.
Fu forse per quel suo baffo così preciso, quasi pignolo, o per il fatto stesso che l’uomo non pareva essere alla ricerca del corpo della donna sopra al quale far cader le sue lusinghe.
Oppure, fu per la leggerezza di quel suo colloquiare con il cameriere come si fa con un vecchio amico, che la Donna di Panna si arrese a quel suo inconsapevole modo di ignorarla.
Gli si avvicinò ancheggiando provocante, ma non volgare.
Lo squadrò per qualche secondo, sperando di esser ricambiata, poi si rivolse al cameriere chiedendo la stessa cosa che ha ordinato lui.
L’uomo sembrava non essersi accorto di lei che, nel frattempo, gli si era seduta accanto. Continuava invece a sorseggiare il suo cappuccino, come non ci fosse nient’altro al mondo per cui valesse davvero la pena avere un po’ di attenzione.
La Donna di Panna si accese una sigaretta tentando goffamente con un ne vuole una anche lei?, un timido approccio.
Il suo fascino di bella e inconquistabile si spense nella risposta di lui.
“Non fumo, grazie.”
Quasi le venne da piangere, respinta davanti a quell’insulsa tazza di cappuccino.
La metà degli uomini del locale la desiderava e l’altra invidiava chi poteva anche solo sperare di potersela portare a cena. Lei, intanto, perdeva sorriso e tempo, accanto a uno zoticone coi baffi disegnati che non la degnava nemmeno di uno sguardo.
Un uomo dalla bellezza ordinaria, come erano tanti.
Come era piena la città e il mondo intero.
Anche i suoi vestiti erano ordinari. Niente per cui valesse la pena stare ancora lì a guardarli e cercare di capire perché muovessero in lei tanto desiderio.
La Donna di Panna non assaggiò nemmeno il suo cappuccino. Spense la sigaretta e si alzò dallo sgabello, mimando l’atteggiamento di chi ha sbagliato persona, di chi ha “scambiato qualcuno per qualcun altro”.
Dando le spalle al Sergente del Caffè, gettò sul bancone qualche spicciolo per pagare poi si avvicinò all’uscita tenendo lo sguardo basso, un po’ per vergogna, un po’ per non rigettarsi nel groviglio di sguardi impertinenti.
Passò la porta di fretta e scomparve presto nella folla che si agitava nella piazza.
Il cameriere raccolse le monete e gettò via il cappuccino avanzato. Poi si rivolse al Sergente del Caffè:
“Perché l’avete lasciata andare via, se tanto mi avete chiesto di lei prima che arrivasse?”
Il Sergente del Caffè non rispose, e continuò a bere il suo cappuccino.
Al cameriere bastò quel silenzio, per arrendersi e capire che l’uomo non avrebbe detto nient’altro.
Il Sergente del caffè lo guardò, sorrise e gli pagò due cappuccini.
“Signore, aspetti! Si è sbagliato!” gli disse il cameriere contando i soldi. 

“Non mi sono sbagliato, ragazzo. Gli errori, in amore, si pagano doppio.”

© Mara Munerati 

© Giulia Cristofori

 

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