Le luminarie | Racconti Indigeribili

Le luminarie | Racconti Indigeribili

Scritto da Davide D'Ambrogio
Illustrato da Martina Cannizzo


Le luminarie  

Camminavo con Linda per le vie del corso dopo che avevamo litigato tutto il pomeriggio. Nel pigro girovagare in cerca di regali, ci fermammo davanti a una luminaria di Babbo Natale che fa surf.
«È enorme! Sarà alto tre volte il nostro albero in salotto», dissi «ma dove vanno le luminarie quando non è Natale? In quale angolo del mondo, in quale magazzino sconosciuto vengono stipate quando non servono?». Linda non rispose, mi voltò le spalle e ignorò il mio maldestro tentativo di rompere il silenzio. Faceva freddo. Poi, a fianco a noi, passarono Carmine e Carmen, una coppia di amici affiatatissimi tra loro, che stanno insieme da quando neanche avevano i peli sulle braccia. Lui la cinse dalla vita, ci salutarono entusiasti usando ogni muscolo del corpo: una felicità così irreale da essere quasi irritante. Linda sorrise e anch’io: un sorriso vuoto, di circostanza. Dentro stavamo morendo, ma loro non potevano saperlo, è il segreto delle coppie. Dovevano crederci uniti, dovevano essere certi che ci amassimo ancora. Allora riprendemmo a camminare.

Sono passati tre anni, e oggi sono solo a passeggiare per il corso. Non c'è più Linda con me (e meno male, aggiungerei). Tutt'intorno, sciami di luci e famiglie felici. Alcuni bambini si mettono in posa davanti a un'altra luminaria: due renne con un maglione che decorano un albero di Natale. Cheese. Mi fa tornare in mente quella volta che stavo addobbando l'albero insieme a Linda. Sembravamo felici anche noi. Poi qualcosa è andato storto: lei mi disse di stare attento a non fare troppi giri col tinsel rosso, altrimenti sembrava che l'abete stesse prendendo fuoco. A me il tinsel piace in maniera viscerale, ma per accontentarla lo dosai con cautela. Eppure, la mia premura non bastò, Linda mi controllava come i cani con le pecore. All'improvviso sbuffò, tolse il tinsel come quando si srotola un gomitolo di lana e ripartì da zero. Volevo darle una mano, ma rispose di no. Mi diede le spalle e io restai a guardare da lontano. Rimasi in silenzio come le pecore quando i cani gli ringhiano addosso, ma i pensieri ribollivano e mi chiedevo Perché ogni piccola stronzata deve diventare un dramma enorme? Linda, continuiamo a stare insieme, ma io ho già deciso che non ti amo più.

Cammino ancora, da solo. Il corso sembra interminabile stasera. In questo punto non c’è quasi nessuno, soltanto qualche coppia isolata, e dei canti di Natale non resta che un coro lontano alle mie spalle. Anche le luminarie si fanno più rade, ma eccone un'altra: un uomo e una donna di spalle, separati da un muro grigio di mattoni. Poetico, un po' azzardato direi, ma apprezzo l'audacia artistica. Due anime così vicine, eppure separate di netto da un sottile strato di cemento secco. Mi tornano in mente certe sere passate con Linda a sputarci veleno addosso, e poi a riparare i torti reciproci col sesso. Mi diceva che non ero abbastanza ambizioso, che dovevo essere più intraprendente. «Ma io sono fatto così, perché mi hai scelto se mi vuoi diverso?». Lei sospirava. Forse non capiva, ma in realtà c'era qualcosa che dovevo capire anch'io, altrimenti non sarei rimasto lì ad angustiarmi. «Sono stanco», le dissi «ogni cosa la fai diventare un dramma struggente. No, non piangere, ti prego». Mi chiuse la porta in faccia. Non sapevo cosa fosse giusto fare, ma dieci minuti dopo stavo sdraiato sul letto a leccarle le tette. Non mi sono mai sentito più solo.

Avanzo, questo luogo inizia a inquietarmi. Quando penso che le luminarie siano terminate, ne scorgo un’altra che fa capolino dietro l’angolo, dev'essere l'ultima. È un ammasso informe di luci nere. Immobili, dense, come l’ombra del mondo sulla luna, o il buio che risiede negli occhi dei ciechi. Mi avvicino per toccarlo ma è freddo. L'aria intorno a me si fa più nera e in questa solitudine, per qualche motivo, Linda entra nei miei pensieri ancora una volta, come un ospite inatteso o un vizio che si fatica ad abbandonare. Ricordo quando mi ha detto di non sentirsi più appagata, che cercava qualcosa di nuovo. Voleva fare sesso con altre persone, ma solo se l'avessi fatto anch'io, altrimenti si sarebbe sentita un mostro. Io avvertivo la stessa cosa, quell’ammasso nero e informe che si era posato su di noi, quindi accolsi la sua richiesta: «Sono felice che ci siamo aperti così tanto. Ci vuole coraggio, sai?». Allora ci guardammo, inconsapevoli che quello che stavamo vedendo nei nostri occhi fosse la morte del desiderio, e penso che a volte il coraggio sia necessario anche per questo: per restare in silenzio ad aspettare la fine senza fare niente. 

Cammino, è tutto nero. Non vedo più nulla, eppure Linda è ancora qui. Siamo rimasti io e lei, anzi, solo lei, perché di me non resta niente, neanche il corpo. Il Natale sembra aver smesso di esistere, non ci sono più neanche le luminarie. Poi mi sembra di vederne ancora una: un guizzo nel buio, un luccichio, qualche tenue bagliore, minuscole luci che si accendono qua e là senza uno schema preciso. Sono stelle? No, sono lacrime. Migliaia di lacrime che luccicano e non si sono mai davvero asciugate. Fanno male, ma non sono fatte di solo dolore. Ripenso ai pianti di gioia, agli anni belli passati insieme, ai traguardi e alla complicità, al bene che ti ho sempre voluto e che in qualche modo ancora ti voglio, Linda. Ma tante volte è difficile rievocare i momenti felici. È più semplice ricordare solo la merda, forse per tenere a mente di non tornare indietro a calpestarla.

Ma perché sto ripensando a te, Linda? Mi sento patetico. È ora che io la smetta di tormentarmi così. E allora mi chiedo: dove vanno le luminarie quando non è Natale? In quale angolo del mondo, in quale magazzino sconosciuto vengono stipate quando non servono? Di quel luogo non si cura mai nessuno, cara Linda, eppure adesso non sai quanto lo vorrei tutto per me. Così da mettere via certi pensieri e fare col tuo ricordo quello che si fa con le luminarie quando non è Natale: riporlo con cura, per poi tirarlo fuori solo quando sarà il momento. 

Adesso devo lasciarti, Linda. Buon Natale.

© Racconto di Davide D'Ambrogio | Illustrazione di Martina Cannizzo | Editing di Chiara Bianchi 


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