La crisi del maschio | Racconti Indigeribili

La crisi del maschio | Racconti Indigeribili

Scritto da Luca Manni
Illustrato da Claudia Marrone


La crisi del maschio

Stamattina ho seminato la rucola e gli spinaci, ho messo a dimora i bulbi di scalogno e i tuberi di topinambur, il mio preferito. Non dovrebbe esserci il rischio di gelate, incrocio le dita.
Vorrei leggere qualche pagina, ma so che non arriverei alla fine della prima. Mi raggomitolo sotto le coperte. Il cotone delle lenzuola è ancora fresco, rabbrividisco nella camicia da notte. Stringo le ginocchia al petto, mi respiro addosso, fra poco sarò immersa nel tepore.
Domani continuerò a pitturare le uova per il mercatino di Pasqua. Quelle in stile impressionista piacciono sempre molto, ma voglio farne qualcuna dada o cubista, per attirare i bambini. Spero solo che le piccole mi diano qualche uovo in più, negli ultimi tempi sono un po’ pigre. Sarà la primavera. Un uovo dipinto vale quindici volte il guadagno di…
Un latrato furioso spezza il silenzio, spalanco gli occhi, il cuore mi schizza fuori dal petto. È Frida, dal cortile. Avrà visto una faina avvicinarsi al pollaio. O ha solo sentito un odore strano. Anche le galline chiocciano disperate. Cavolo. Non ho nessuna voglia di alzarmi.
Frida abbaia ancora, ma è meno convinta. Anche le piccole sono tornate tranquille. Sarà stato un falso allarme. Un guaito insoddisfatto, rassegnato, torna il silenzio. 

La lama di luce che filtra dagli scuri taglia a metà il letto e il resto della stanza. Qualche sparuto cinguettio annuncia che la campagna si sta svegliando dopo il letargo invernale.
Mi vesto, stivali e berretto, voglio uscire subito a controllare che vada tutto bene.
Apro la porta ma sbatte contro qualcosa. «Frida se ti sposti riesco a passare». Mi guarda un istante e fa un passo indietro. «Grazie Frida». Si fa accarezzare la testa e mi accompagna dietro l’angolo della casa. I ciottoli sono bagnati, stanotte deve aver piovuto, ma il cielo è uno specchio. L’orto sarà contento.
Il pollaio sembra a posto. Ci giro intorno, nessun segno di violazione, né tra le pareti e il terreno, né tra le assi o sotto il tetto. Anche la maniglia che chiude la porta d’ingresso è integra.
Le piccole mi vengono incontro chiocciando, ancora assonnate. Le faccio uscire. Pare che stiano tutte bene. Farinelli esce per ultimo, con fare circospetto. Il vecchio Gregorio non lasciava che le galline uscissero prima di lui. «Farinelli tutto ok? Cos’è successo ieri sera? Farinelli, vieni qua un attimo». Ha del sangue sul becco e sulle zampe. Anche sulle piume bianche del collo. «Che cavolo è successo?». Osservo le galline. Raspano serene sull’erba, nessuna è ferita. Controllo meglio Farinelli. Neanche lui sembra ferito, è solo sporco. Frida si avvicina e lo annusa. «Lascialo stare Frida. Cos’avete combinato ieri sera? Eh?». Ho la testa vuota, non mi raccapezzo. Conto le galline. Tredici. Come tredici? Le conto di nuovo. Tredici. Ne è scappata una? Mi tuffo nel pollaio. È lì, in un angolo, immobile, piena di tagli. No! «Piccola! Piccola!». Le sollevo la testa. È morta. La gola mi si chiude, gli occhi mi si gonfiano di lacrime. «Piccola…».
C’è un buco fra due assi del pavimento, proprio di fianco alla mia piccola inerme. La faina. È entrata da qui, lurida infame, ha ammazzato la gallina ma non è riuscita a portarla via. Farinelli ha provato a difenderla. Come cavolo si è formato questo buco? Forse c’è sempre stato ma la faina non se n’era mai accorta. Quella bestia schifosa, vorrei averla fra le mani in questo momento.
Frida mi segue sul retro della casa. Dentro la rimessa c’è la solita confusione. «Dovremmo dare una sistemata, eh Frida? Ma dove lo troviamo il tempo?». Non mi ascolta, è troppo presa dai profumi esotici della rimessa. Rovisto fra gli scarti della ristrutturazione, trovo una tavoletta di compensato grande come una cartolina. Dovrebbe andare bene. Prendo chiodi e martello e torno al pollaio. Fisso per bene il compensato al pavimento, sopra il buco. Ispeziono il resto del pollaio, devo essere sicura che sia impenetrabile. Dietro uno dei trespoli, dove di solito depongono le galline, ci sono due uova rotte. Saranno cadute nel trambusto. Accidenti, già ne fanno poche. Raccolgo i gusci, pulisco tutto.
Prendo un secchio di becchime e ne spargo manciate sull’erba.
Le guardo mangiare, fanno movimenti a scatti, precisi come quelli di una macchina per scrivere. Ho dato un nome a ognuna, ma ricordo solo Marie: Marie Curie, detta Marie. Il suo piumaggio nero e bianco mi ricorda le vecchie foto in cui ho visto la scienziata. Se ne va in giro per il prato con aria sicura e attenta, come per accertarsi che l’operazione del pasto si svolga con ordine. Ora che ha tutto sotto controllo, anche lei può concedersi qualche chicco, ma Farinelli le si scaglia contro, la urta e la becca sul dorso e sulle ali. Lei chioccia indignata e prova a contrattaccare, ma Farinelli è due volte più grosso e si mette a becchettare nel punto in cui era Marie.
«Farinelli! Prepotente!» gli urlo. Marie desiste e si sposta, il prato è ancora pieno di cibo. Ma appena abbassa il becco fra l’erba, il gallo torna alla carica. Vuole impedirle di mangiare. Muovo due passi decisi verso di lui e lo faccio svolazzare via. «Brutto gallinaccio del cavolo!». 

Mi infilo nel letto, chiudo gli occhi e penso con fiducia alla toppa che ho fissato sul pavimento del pollaio. Sono sicura che stanotte non ci saranno problemi. Mi dispiace per te, cara faina, dovrai procurarti la cena da qualche altra parte.
Frida si mette ad abbaiare con una rabbia inaudita, sobbalzo. Ancora? Anche le galline chiocciano impazzite. Questa volta devo alzarmi per forza. Vado alla finestra, apro gli scuri, guardo giù: Frida punta il pollaio, abbaia così forte da strozzarsi. «Frida! Frida! Che c’è?». Mi fissa, tace per un secondo, torna alle sue invettive. Mi infilo gli stivali, corro al piano di sotto, apro il cassetto della credenza, afferro una torcia, esco in cortile. Spalanco la porta del pollaio, il fascio di luce illumina le galline più vicine all’entrata. Sbattono gli occhietti, mezze accecate. Guardo verso il fondo, Marie è a terra, in una posizione innaturale. Merda! Striscio dentro, la sollevo, l’intestino sbuca dal ventre aperto, un lembo di pelle tiene attaccata la testa al resto del corpo, pieno di ferite. La rabbia e il dolore mi esplodono in testa. Appoggio il cadavere maciullato di Marie sul pavimento, le lacrime premono dietro gli occhi.
Farinelli è accucciato nell’angolo, tranquillo, ricoperto di sangue. È stato lui, per forza. Mi avvicino, ho una gran voglia di tirargli il collo. «Che cazzo hai fatto bestia schifosa?». Rimane lì, fermo e guardingo. Non resisto, lo afferro per il collo e lo strattono. Urla, sbatte le ali, tenta di beccarmi. Lo legherò a un palo come un viscido criminale e lo lascerò in pasto alle faine e alle cornacchie. Mentre esco, con il gallo fra le mani, la luce della torcia rivela una macchia argentea proprio nel punto in cui era seduto. È il guscio candido di un uovo che inizia a creparsi.


© Racconto di Luca Manni | Illustrazione di Claudia Marrone | Editing di Chiara Bianchi 


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