La testa fra le fragole | Racconti Indigeribili

La testa fra le fragole | Racconti Indigeribili

Scritto da Andrea Cabras
Illustrato da Lisa Merletti


La testa fra le fragole

Mio nonno mi diceva che spesso i polli riescono a vivere qualche minuto dopo che gli stacchi la testa. Ho scoperto che la cosa non succedeva con gli esseri umani, dopo aver decapitato la mia prima persona.
Il cadavere decollato giace ai miei piedi. Il sangue viene assorbito lentamente dal terreno. La sua testa è finita qualche metro più in là, dopo aver rotolato fino ad appoggiarsi su di una piccola roccia. I suoi occhi mi fissano sbigottiti. Non ho problemi a fissarlo di rimando. Stringo le spalle, come per dirgli «Oh, è andata così, che ci vuoi fare?».
Checché se ne dica, se vuoi ammazzare qualcuno, una bella ascia affilata è la scelta migliore. Almeno, se vuoi che sia una cosa intima tra te e la malaugurata vittima. In tutti gli altri casi, meglio il contenuto di un caricatore dell’arma a tua scelta e via, risolvi tutto. Se, come me, vuoi invece separare un’appendice dal resto del corpo, con l’ascia non si sbaglia. Probabilmente ne hai una in garage. Ho sentito parlare bene del machete, dà quel tocco esotico.
Di gente ne ho ammazzata, eh, quindi fidati dei miei consigli. Lavoro stressante, almeno all’inizio. I primi ti segnano, poi è tutta in discesa. Se sei abituata, come me, a far fuori persone per denaro, lo fai come se stessi andando a prendere il pane. Entri, ammazzi, esci. Non è mai successo nulla in nessuna delle tre fasi. Sono una che passa inosservata. Almeno, non una di quelle che vedi e pensi «Oh, questa mi truciderà».
Talento naturale, diceva mio padre.
È una buona cosa passarsi il mestiere di padre in figlio. C’è sempre chi ti addestra, chi ti inizia ai segreti dell’arte di famiglia. Quattro generazioni di assassini. Peccato sia l’ultima. Io di figli non ne voglio, non vorrei essere tentata dal mostrargli un fucile da cecchino al suo quinto compleanno, come fece mio padre con me. O insegnargli a sparare, come fece mio nonno, vicino al pollaio. Aveva aspettato che fossi abbastanza cresciuta da reggere il rinculo di una Beretta. Che caro, mi manca un sacco.
Ho provato a dirlo a papà. A spiegargli che la nostra stirpe di mietitori finisce con me. Sono anche abbastanza stanca di lavorare in quel settore.
Non ha preso bene la cosa. E ora la sua testa è poggiata sulla pietra.
Ha urlato, mi ha detto che il nostro è un mondo dal quale non si può uscire così facilmente. Una di quelle cose che una volta iniziata, la si deve continuare finché non tocca pure a te stramazzare per terra, in un modo o nell’altro.
Non gliene faccio una colpa. Lui alla famiglia ci teneva, alla tradizione. Però, proprio non gli andava di capire. E a me non andava di spiegarmi ulteriormente.
Ho atteso che andasse a zappare le fragole, così almeno sarebbe morto facendo qualcosa che amava. Oltre l’ammazzare, si intende. Certo che ho fatto un taglio perfetto. Si vede che sono una ragazza di campagna. Papà sarebbe fiero dell’operazione, se la testa non fosse la sua.
Dopo un lavoro, sparisco nel nulla. Immagino che avere un cadavere decapitato nel tuo stesso giardino possa risultare sospettoso a occhi indiscreti. Magari qualche vicino mi ha visto. Forse, stanno già arrivando a prendermi.
Poco male, tanto volevo andare in pensione. 

 © illustrazione di Lisa Merletti | Racconto di Andrea Cabras | Editing di Chiara Bianchi 


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