Errore di sistema | Racconti Indigeribili

Errore di sistema | Racconti Indigeribili

Scritto da Giacomo Proia
Illustrato da Sara Corsi


Errore di sistema‎‎‎‎

Andrea Chénier, professore di matematica a metà carriera, non aveva voglia di portare fuori la spazzatura. Era sua abitudine, subito dopo cena, chiudere sacchi e sacchetti e uscire in tutta fretta. Se non altro per evitare di sparecchiare, cosa che detestava. Stavolta, si accomodò deciso sul divano. Non era del tutto rilassato, perché il senso di colpa tipico dei procrastinatori lo punzecchiava.

La signora Chénier, sistemata la cucina, raggiunse il marito e si sedette accanto a lui che già ronfava satollo. Dopo poco, anche lei si addormentò, perdendo come ogni sera gran parte della programmazione televisiva. 

Andrea Chénier aprì gli occhi due ore dopo, affranto, perché sapeva che prima di potersi trasferire a letto, in posizione ancora più comoda, avrebbe dovuto portare fuori la spazzatura. Guardò per un attimo la sua signora, che dormiva con la bocca spalancata. Poi, spinto da un grandioso sforzo di volontà, si alzò. Prese il sacchetto dell’umido, lo chiuse, lo poggiò sul piano della cucina: azione che avrebbe fatto adirare sua moglie.

Il signor Chénier assaggiò l’aria e il silenzio invernali di un paese quasi ai confini della città. Posò, diligentemente sul marciapiede, il sacchetto nel secchio. Pronto a rientrare, qualcosa sulla strada attirò la sua attenzione. Era sicuro ci fosse qualcuno.
Il suo cuore fece un saltello, perché quella persona, che sembrava molto grossa, stava immobile in mezzo alla stradina. Chénier, ancora più agitato, si accorse che lo sconosciuto indossava un frac.
Chénier si fece coraggio e mosse qualche passetto, se non altro per vederne il volto. Si bloccò, fermato da due occhi spalancati e infernali, che lo fissavano. Gli parve una faccia conosciuta. Provò a dire un “Salve”, senza ricevere risposta. Fece allora un altro passo. Quando realizzò chi aveva difronte, la sua paura mutò in incredulo terrore. Quell’uomo in mezzo alla strada, immobile, enorme, in frac, dagli occhi spiritati era Luciano Pavarotti. 

Andrea Chénier corse a gambe levate, urlando «Oddio!». Sua moglie si alzò di scatto dal divano, sentendo suo marito sbattere la porta e chiuderla a chiave. L’uomo era fuori di sé. La signora Chénier provò a chiedere spiegazioni, scuotendo suo marito con forza. Lui la tenne per le spalle e urlò «C’è Pavarotti qua fuori!».
La donna lo fissò come si fissa qualcuno che ha mostrato i primi sintomi della follia. «Ma sei matto Andrea?». Il professore la spinse fino alla finestra. La signora Chénier allora sbirciò fuori, poi urlò: «Oddio!».
Come sempre toccò a sua moglie cercare di riprendere il controllo. «Chiamiamo i vicini» disse. «Ma no», ribatté il marito, «è troppo tardi». Lei allora urlò: «Ma c’è Pavarotti qua fuori Andrea!». L’uomo si mise le mani sulla testa. Passeggiò nervoso, poi prese il telefono e fece il 113. Tentò di convincere il suo interlocutore, ma era chiaro che le forze dell’ordine non gradissero gli scherzi telefonici notturni. 

La signora chiamò i vicini, ma nessuno rispose. Luciano Pavarotti era sempre in mezzo alla strada. Passò del tempo.

Andrea Chénier ebbe l’illuminazione: «Ma quello è un pupazzo, Sandra!». Prese il cappotto, si mise il cappello e uscì. La signora restò in silenzio, poi si avvicinò alla finestra per seguire le azioni del marito. L’uomo si avvicinava a Pavarotti, ma più lo faceva e più rallentava il passo. Il professor Chénier, sempre più lento, si avvicinò a Pavarotti. Non riuscì a distogliere gli occhi arrossati, la barba folta e i capelli spettinati.  Se quello era un pupazzo, era il miglior pupazzo del mondo. Dal naso di Pavarotti uscì una nuvola di respiro. Il professore scappò di nuovo in casa. 
La notte sembrava non voler passare. I coniugi Chénier, seduti al tavolo, stremati dal sonno. Il professore dopo qualche ora di silenzio disse: «Ma scusa Sandra, se quello è veramente Pavarotti, ma di cosa dobbiamo aver paura? In fondo era un personaggio famoso, un brav’uomo no?». Lei scosse la testa dubbiosa. L’uomo incalzò: «Faceva tutti quei concerti per l’Africa». La signora Chénier provò a controbattere: «Sì, ma ti ricordi che aveva evaso le tasse, un sacco di soldi pure». L’uomo non rispose, sua moglie aveva ragione. «Vabbè», disse, «tasse o non tasse, non ha mai ammazzato nessuno. Andiamocene a letto, domattina se ne sarà andato». 

I coniugi Chénier diedero un’ultima occhiata dalla finestra a Luciano Pavarotti, che non si era spostato di un millimetro dal centro della strada, e che continuava a guardare fisso verso non si sa dove.


 © illustrazione di Sara Corsi | Racconto di Giacomo Proia | Editing di Chiara Bianchi 


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