La fuga dei corpi | Andrea Gatti

La fuga dei corpi | Andrea Gatti

La fuga dei corpi di Andrea Gatti
Una storia di esistenze in viaggio verso un non-luogo

 di Chiara Bianchi

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«È ridicolo come ti sei bardato per questo mondo».

La citazione scelta per l’esergo di La fuga dei corpi di Andrea Gatti (Pidgin edizioni) occupa un posto speciale nel cuore di molti lettori.
Un aforisma di Franz Kafka, estrapolato dalla raccolta postuma Aforismi di Zürau. Nel periodo della sua malattia, Kafka si isola per sfuggire a tutto ciò che incombe – la famiglia, l’ufficio, le donne – e la non presenza umana provoca in lui una sorta di euforia, trasformando un periodo di isolamento, legato alla malattia, nella tregua dal mondo, forse il migliore della sua vita.  

Andrea Gatti inizia il suo romanzo con una domanda: «Chi racconterà la tragedia dei nostri anni di pace? Mi sveglio con questa domanda in testa, in questa casa che non conosco […]» è Vanni a parlare mentre ascolta il suo compagno di viaggio, Daniel, che bofonchia nel sonno. Le voci di questi due personaggi si alterneranno per tutto il loro cammino verso la Spagna, dove ad aspettarli c’è Cala Bruja, un non-luogo, dove la parola d’ordine è libertà.

«Partire è più coraggioso di restare».

I due, appena ottenuta la laurea creduta «marchio della libertà e invece nisba, perché non è la libertà a rendere felici, ma la continua liberazione senza fine», raccontano il loro personale viaggio e noi siamo spettatori dei loro pensieri, del loro modo di percepire lo spazio tutto intorno, dei luoghi che attraversano, degli incontri – gli angeli custodi –, e soprattutto del loro modo di concepire l’altro.

Sono due amici che decidono di tagliare i ponti col passato, con le loro vite marchiate dalla società occidentale, tentando la fuga verso un altrove, ripudiando il passato.

«Per Vanni è la prima volta, ed è comprensibile la sua ostinazione. Se la mia lotta è votata al rifiuto di ciò che gli altri impongono su di me, la lotta di Vanni è quella di un principe che non riconosce determinati privilegi come suoi e vorrebbe liberarsene».

Eccoli, pellegrini lungo il cammino verso l’Isola che non c’è, nella sua accezione utopica – la possibilità di cercarla non determina la raggiungibilità in questo mondo –  eppure, in loro c’è il seme dell’illusione, quell’immaginazione bambina che permette di trovarla o quanto meno di affrontare il viaggio.

«Sapevo che non sarebbe stata una vacanza. Mentre buttavo tutto quello che non mi serviva […] mi chiedevo se stessi facendo la cosa giusta. Nella preparazione alla partenza, i dubbi solcano i pensieri dei due amici».

Tra loro due poche regole «una di queste è non fare la figura dei mendicanti». Per le strade delle cittadine che attraverseranno, racimoleranno da vivere suonando l’uno la chitarra l’altro il tamburello. Vanni canta, con la sua voce graffia la vita, con le corde della sua chitarra intona canti profani lungo il percorso verso la purificazione o l’espiazione. Brani di cantautori italiani si alternano a sonorità più aspre, dal pop al progressive rock, in una mai casuale scelta dei brani che si amalgamano con il sotto strato emotivo di quel preciso momento, nel cerchio magico che solca il confine tra loro e gli altri, dentro il quale c’è tutto e non c’è niente, perché le maschere indossate dai due rappresentano ancora il legame profondo con il loro passato, in cui non contava essere se stessi, ma essere come volevano gli altri.

«È il paradosso della maschera: uno si nasconde per far emergere qualcos’altro e la gente resta incantata dal nascondiglio».

Tra Vanni e Daniel, nell’incedere del racconto, appare chiara una sorta di incomunicabilità, sconfitta, almeno apparentemente, nell’unione alla causa comune. Il valore dell’amicizia, con le sue mille sfaccettature, sviscerato fino a comprendere che non si conosce mai una persona fin nel profondo, ma nemmeno se stessi.

«Nessuno può vederci. Siamo noi quelli che vedono. Ieri notte Daniel ha detto che agiamo come zecche. […] Daniel parla sempre come se fosse implicito il significato di quel che vuole io comprenda; dà per scontato che io capisca. Parla una lingua esoterica. A volte vorrei aprire la sua testa con un bisturi e guardarci dentro».

Nel percorso di ricerca della terra promessa, Cala Bruja, i due individui si raccontano nei loro bisogni primari: la fame, la sete, il sesso ai quali si aggiungono l’alcol, le droghe e l’adrenalina. Quest’ultima, in parabole altalenanti, permette ai due di superare le difficoltà e più la meta si avvicina e più diventa protagonista di accesi momenti di rabbia.

Il sentimento di aggressività che l’uomo moderno riversa contro se stesso e gli altri prende piano piano un posto di primo piano nel racconto. La rabbia, secondo il neuroscienziato Jaak Panksepp, fa parte dei sette sistemi affettivi di base: ricerca, paura, collera, desideri sessuali, cura, sofferenza, gioco; essi si originano nelle aree più remote del cervello e sono straordinariamente simili nelle diverse specie di mammiferi. I due protagonisti concentrandosi sulla meta, quasi involontariamente, mettono a fuoco la vera natura umana. Sono arrabbiato, dunque sono: questo il credo dell’uomo moderno.

Cala Bruja è una piccola conca di spiaggia che si inerpica sulla montagna, dove persone di ogni età, rango, razza, decidono di arrivare, di restare o di tornare indietro. Un luogo raggiunto dai turisti non può davvero considerarsi un non-luogo, eppure lo diventa non appena le regole che determinano la quotidianità differiscono dalle precedenti. I due, spogliati dall’imbarazzo, riusciranno a star nudi in mezzo a corpi nudi, non sempre placando gli istinti sessuali, qualche volta esagerando nel sospetto verso gli altri. C’è stato un tempo per loro di credere che il pessimismo, di cui si sentivano invasi, fosse la causa dei loro mali; c’è un tempo in cui la lama di un coltello ha il sapore del sangue e della solitudine, quando la violenza è la violenza è la violenza è la violenza è.  

Nel corso della narrazione emerge sempre più prepotente l’affanno della corsa immaginaria verso la liberazione del pensiero, che appare sempre più sfuggevole. La prosa di Gatti affascina per la privazione di un intermediario tra il lettore e i protagonisti e viene da chiedersi chi sia chi e chi siamo noi.

«In viaggio le prime cose che si domandano sono da dove si viene e dove si va, perché la strada è più importante dell’individuo, perché non siamo altro che spazio calpestato dalle nostre suole.
Per capire chi siamo abbiamo innanzitutto bisogno di capire chi non siamo».

Autore: Gatti Andrea
Editore: Pidgin Edizioni
Isbn: 9788885540187
Categoria: Letteratura italiana: testi
Data di Uscita: 15/09/2021
Collana: Ruggine
16,00 € 

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