86 - un racconto.

86 - un racconto.

Era l’86, mi hanno raccontato.
Mi hanno parlato del silenzi. Poi della pioggia. Delle televisioni. Poi delle edizioni speciali dei telegiornali. Mi hanno parlato della mamma che piangeva. Del papà che non è più tornato a casa. Mi hanno parlato di atomi e di radiazioni. Mi hanno parlato, e io non ho mai capito. Dicevano di un mostro di cemento con l’inferno sotto le scarpe. Dell’acqua che non si poteva più bere, dell’insalata che non si poteva più mangiare. Che si doveva fuggire lontano. Ma lontano dove, nessuno glielo diceva. A loro, che mi hanno parlato dell’86.
Mi hanno detto che si poteva morire. O che si moriva e basta. E forse, sono morti tutti quanti davvero in quell’86. Mi hanno parlato di internet. Di chi lo diceva. Di chi lo ripeteva a gran voce. Di chi è sparito. Di chi è stato arrestato.
I cani. I cani lo sapevano. Quelli che impazzivano nei cortili, o nelle case. Quelli che si mangiavano la lingua o si pisciavano addosso. Anche i gatti lo sapevano. A loro non è stato detto dove andare, ma sono fuggiti. Sono fuggiti tutti quanti. Gli uccelli invece, sono morti tutti. Così mi hanno raccontato di quelli dell’86.
Mi hanno detto che erano tutti degli stupidi. Mi hanno raccontato di ricchi banchetti. Di persone che bevevano e si vendevano le armi. E più vendevano, più ridevano. Poi, mi hanno raccontato che sono morti tutti. E che allora sono stati altri a ridere e bere.
Mi hanno parlato del cielo color mattone. Della terra color petrolio. Che si respirava solo con delle maschere. Che la pelle diventava viola. Che si riempiva di vescicole che scoppiavano e facevano urlare. I bambini piangevano. Poi la lingua gonfia li soffocava.
Mi hanno raccontato che l’86 era il numero del diavolo. E che l’uomo era stato maledetto da qualcuno. Mi hanno raccontato che la gente con le maschere stava in ginocchio davanti ad altra gente con le maschere e i fucili, con le mani giunte. Mi hanno detto che guardavano il cielo. Il cielo che era sempre color mattone.
Quelli dell’86, quelli coi fucili e con le maschere: mi hanno detto che anche loro si sono messi in ginocchio quando sono arrivate le cavallette dal cielo. Qualcuno si è puntato la pistola alla tempia. Chi se l’è infilata in bocca, e ha sparato. A me hanno sempre detto che quelle cavallette giganti erano arrivate perché le persone in ginocchio con le mani giunte, le avevano chiamate. Mi hanno raccontato che erano centinaia, che erano migliaia. 
Quelle con le grosse ali verdi hanno preso i bambini. Anche quelli morti con la lingua fuori dalla bocca. Mi hanno raccontato che li hanno portati via tutti quanti. Che le donne si strappavano le maschere, e morivano di dolore. Ma le cavallette non si voltavano ad aiutarle. Prendevano solo i bambini.
Mi hanno detto che hanno poi bruciato tutto quanto. Anche il mostro con l’inferno sotto le scarpe.

Era il 2086, mi hanno raccontato.
Mi hanno parlato del silenzio. Poi della pioggia. Delle televisioni. Poi delle edizioni speciali dei telegiornali. Mi hanno parlato della mamma che piangeva. Del papà che non è più tornato a casa.
Mi hanno raccontato che l’86 era il numero del diavolo.

E che tutto si ripete.
Così mi hanno raccontato, le cavallette del cielo.


26 aprile 1986. Esplosione di un reattore nella centrale nucleare di Chernobyl.

© Mara Munerati

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