Okland

Okland

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Una bella sorpresa. Ecco la prima impressione che si ha, quando ci si approccia all’ascolto dell’ EP di Okland.

Questo progetto, che prende vita a Torino dall’unione di tre musicisti, è anche l’ennesima conferma di come, nonostante l’ asfittico panorama discografico italiano, ci sia nel nostro paese un movimento di musica elettronica molto vitale e interessante.

I tratti distintivi di questo lavoro sono principalmente due: la contaminazione e l’eleganza.

Nelle quattro tracce che compongono l’EP la parte elettronica si incontra e si intreccia con una più acustica, suonata direbbe qualcuno, creando un suono avvolgente e immaginifico, che porta l’ascoltatore ad affrontare un vero e proprio viaggio fatto di atmosfere contrastanti ma mai discordanti.


La contaminazione fra elettronica e gli strumenti, diciamo convenzionali (anche se raramente ho sentito una Kora…) non è una novità assoluta, anzi, ma è qualcosa di molto difficile da realizzare perché bisogna mantenere un equilibrio pressoché perfetto fra questi due mondi per non compromettere il lavoro; e questo terzetto torinese ci riesce alla perfezione.

E questo equilibrio ha come risultato il secondo aspetto caratteristico di Okland; l’eleganza dei suoni.
Ognuno dei quattro pezzi presenti in questo lavoro ha come denominatore comune una bellezza nella struttura dei pezzi che ti fa pensare a luoghi lontani e sconfinati, quasi fosse una vera e propria colonna sonora di un viaggio. 

Insomma un lavoro che merita molta attenzione da parte di un gruppo che a tratti ricorda i Royksopp e che probabilmente ha come obiettivo gli M83, che non vediamo l’ora di ascoltare quando sarà più completo e magari strutturato in un vero e proprio album, perché di cose da dire con la loro musica, gli Okland, ne hanno parecchie.

Sicuramente sarà apprezzato dagli amanti del genere e non è da escludere che trovi una sua collocazione nel mondo dei club ma anche chi non ama la musica elettronica potrebbe rimanere piacevolmente sorpreso da questo EP.

Miglior pezzo: Màni 

© Luca Cameli 

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